Monday, May 03, 2010

Il cine-documentario indipendente: considerazioni

A pormi qualche perplessità è l'attributo "indipendente". A sollevare la questione sono diverse discussioni fatte negli ultimi tempi con diversi amici, una in particolare e musa ispiratrice, che sul cine-documentario indipendente cinese degli anni novanta sta scrivendo la sua tesi di dottorato.

"Indipendente", dicevamo. Benissimo. Da chi? Da cosa? Va detto innanzitutto che in questo caso il termine "indipendente" dipende dal sistema a cui facciamo riferimento, ovvero se stiamo parlando di cinema in occidente o in Cina. Non mi intendo di cinema, dunque tralascio la parte occidentale e tratto solo quella "sinologica".

Quando senti "indipendente" riferito al cinema, ti aspetti che sia indipendente da lobby, padroni, finanziatori, governi. Ovvero una realizzazione di video non pagati o finanziati da persone o enti terzi, ma interamente realizzato con i mezzi che il regista ha a disposizione di suo. Questo serve a salvaguardare la propria libertà di espressione, il punto di vista, il pensiero e il disegno che c'è dietro il progetto di fare un documentario.

E così effettivamente è, o almeno nasce, il documentario indipendente cinese. Nasce (se non sbaglio) dalla volontà di un gruppetto di giovani artisti cinesi di rappresentare la realtà così come loro la vedono, e la vedono diversa da come il governo vorrebbe. Dunque non accettano finanziamenti governativi ma si auto-organizzano e auto-finanziano. Non accettano fondi governativi 1) per non fare quello che il governo comanda 2) perché i temi trattati sono sensibili e non benvoluti dai quadri di Partito.

Che bello! Lavorare e realizzare video senza il beneplacito del governo, senza il soldo del padrone! Peccato però che poi si venga a creare un problema non da poco. Qualcosa di simile a quello che succede con la commercializzazione della musica: le band crescono e diventano famose, firmano un contratto con delle etichette a discapito della propria libertà di espressione e vanno ad ingrassare un sistema di commercializzazione che prima criticavano e contestavano.

I documentaristi cinesi (una volta squattrinati, autonomi ed appassionati) cominciano a far girare le loro opere, i loro video vengono proiettati in rete e nei festival di mezzo mondo, il loro nome circola e vengono apprezzati (e criticati) a destra e a manca. Diventano famosi, per farla breve. E di conseguenza trovano facilmente fondi da organizzazioni e lobby del commercio del cinema da cui prima fuggivano. Non prendono certo soldi dal governo cinese, perché trattano ancora temi quali l'inquinamento, i gay, la prostituzione, le condizioni di lavoro nelle miniere, le demolizioni e simili, ma vengono "comprati" dai governi occidentali e dalle fondazioni private che con documentari su temi simili fanno affari d'oro nel mercato occidentale. Finiscono insomma in quel sistema politico-economico da cui inizialmente scappavano e si rifiutavano di far parte.

E questo mi sembra orrendo, oltre che triste. Sarà pure che anche i documentaristi devono mangiare (in un ristorante quattro stelle di Parigi e non più in una bettolaccia fuori Pechino), ma io preferisco ancora l'opera degli appassionati impegnati socialmente (e non degli "intellettuali di professione", quelli pagati dalle lobby), anche a discapito della forma, della qualità tecnica e artistica. Perché su tutto prediligo la libertà d'espressione e l'assenza di ogni ottica di profitto.




p.s. Per chi ancora non si fosse annoiato, mi ricollego un attimo ad un'interessante questione posta da Francesco, uno studente laureato in cinese a Venezia. Ha scritto una tesi di laurea proprio su questo, arte e mercato. Mi faceva notare come ci sia una sorta di neo imperialismo nell'arte cinese contemporanea per mano (soldo) dei mercanti d'arte occidentali. I cinesi magari non vanno pazzi per molte delle opere degli autori cinesi contemporanei, ma gli occidentali sì, e comprando comprando comprando promuovono esattamente quel tipo d'arte che altrimenti non farebbe alcuna strada, perché non apprezzata in Cina. Il terrore è che anche nel documentario "indipendente" stia già succedendo qualcosa di simile.

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