Galera od ospedale
E anche da queste tre notti in ospedale ho imparato qualcosa. Innanzitutto che non esistono operazione “stupide. “Tranquille”, “sciocche”, “non te ne accorgerei neanche”, “una cazzata”. Non esistono. Le operazioni sono tutte (alcune più, altre meno) una gran rottura di coglioni. E, soprattutto, una sofferenza. SOFFERENZA è la parola chiave. Quella che meglio si abbina alla parola “operazione” e, per espansione, alla parola “ospedale”. Tre giorni di sofferenza. Maledette operazioni. Maledetti ospedali.
“Torni a casa?” mi ha chiesto un tizio sulla cinquantina che non ho neanche guardato in faccia mentre svuotavo l’armadietto del mio letto in ospedale. “Sì, cazzo. Finalmente!”. “Sei stato molto in ospedale?” mi fa ancora questo tizio, che avrebbe preso il mio posto in camera. “No. Ma in ospedale non ci sto mai volentieri. Anche venti secondi sono troppi”. Quanta improvvisata saggezza.
Sofferenza a parte, è proprio vero: in ospedale si trova l’Uomo. Ne ho contati molti questi giorni: donne, uomini, bambini, anziani. Gran signori. Tutti all’esame SOFFERENZA. Tutti gran signori. L’anziana signora operata all’orecchio con la quale ho bevuto camomilla fumante di fronte a noiosissimi programmi televisivi fino a tarda notte (le dieci e mezzo. Che in ospedale sono tarda notte). Il pugile dilettante operato al naso che alle sei e trenta di mattina quando l’infermiera veniva a infilarci la flebo saluta il giorno con un “cazzo… che sarebbe adesso una bella scopata!”. Le infermiere (tutte donne e molte giovani) che senza di loro l’ospedale chiuderebbe in dieci minuti. Il giovane padre di famiglia con la maglietta rossa con su scritto “Resistere Resistere Resistere!” e la signora operata alla gola, in ospedale da più di un mese. Altro che Resistere.
E poi la sala operatoria. “Non ho paura. Non mi fanno paura le operazioni, non mi fanno paura gli ospedali e neanche i chirurghi. E poi la mia operazione è una cazzata. Tolgono due cicci al naso e martellano un po’ il setto. Una gran cazzata. Non me ne accorgo nemmeno. E fra un paio di giorni a casa a scrivere e-mail ai miei amici di Pechino. Una gran cazzata”. A vent’anni si è stupidi davvero. Il brutto dei lettini (oltre al fatto di essere durissimi, una tortura voluta credo) è che non puoi far altro che fissare il soffitto azzurro plastica e attendere che venga il tuo turno. Prima del mio turno si è presentato un simpatico infermiere “Hai paura degli aghi?”, “Chi?! Io?! Lei non sa con chi sta parlando” e neanche mi fa finire la frase che mi infila uno spadone a due mani 2D8+4 nella mano, un ago nero di mezzo metro che non so come faccia ad entrarmi in vena. Un ago sparato sul dorso della mano che arriva fino all’avambraccio, un ago che rende impossibile la mobilità del polso, che lancia fitte fastidiosissime ogni volta che provi a muovere la mano. E così sarà per quattro giorni e tre notti. Una favola. Poco dopo intravedo uscire la ragazza entrata prima di me. In posizione fetale, faccia sconvolta, provo a parlarle ma non risponde, gli occhi rossi, la pupilla giù e su. Bene. “Sei pronto?”. Ora non ne sono più tanto sicuro. Quando entra l’anestesista capisci che per te è finita. E ti risvegli dio solo sa quanto dopo, abbandonato sullo stesso lettino di prima in un corridoio dell’ospedale, lo stesso infermiere di prima che prova a dirti qualcosa che tanto non capisci. “Mi esce da vomitare”, “Normale. Ti abbiamo intubato”. “Che botta… l’anestesia…” penso e chiedo “Dov’è la ragazza di prima?!”. “Ora ti ci porto”. Una grossa ferita in bocca, spasmi di vomito, mal di testa, confusione, non sento nulla dalla mascella superiore alle sopracciglia. La sofferenza vera e propria comincerà solo molte ore dopo, quando finirà del tutto l’effetto dell’anestesia. E subentreranno i dolori alla gola, al naso, al mano, ai denti. E poi le 38 linee di febbre, i dolori alla testa e quelli fortissimi alla schiena. L’ago sempre puntato sul dorso della mano. E un naso su cui dev’essere atterrato un F14 dell’aeronautica canadese.
Giuro. Non esistono operazioni stupide.
4 Comments:
ma come fai in solo tre giorni a tirare fuori un racconto sul tuo calvario in ospedale.....tu offendi quelli che le cose le vivono veramente!
nessun calvario. solo sofferenza. breve per fortuna. e nessun lamento. so benissimo che c'è chi sta peggio (e molto purtroppo). altrimenti non scriverei di ospedali ma piuttosto della parrucca di berlusconi, degli acquisti della juventus o della nuova linea prada.
p.s. che significa "vivono veramente"?! c'è chi le cose le vive per finta? nel caso dell'ospedale, chi si ricovera per tre giorni vive per finta e chi si ricovera per sei mesi davvero? interessante teoria.
Star male è un'esperienza che ci rende umani...mettendoci di fronte alle nostre fragilità
necessita di verificare:)
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