Da un'intervista alla regista cinese Ning Xing. Fonte: Espresso Online
Quello delle censure ideologiche è uno degli aspetti cinesi che lascia più perplessi. Una volta, quando lì il comunismo era davvero tale, si poteva pensare che ci fosse una ferrea difesa dell’ideologia, come in tutti i regimi totalitari, come faceva il ministero della Cultura popolare nell’Italia fascista. Ora, però, la Cina sta vivendo una strana contraddizione, perché continua a volersi chiamare comunista, ma comunista assolutamente non è. E allora cosa significa censura ideologica? Vuol dire difendere l’ideale comunista? O quello liberista? Oppure non lasciar venire a galla la contraddizione?
«È proprio come dice lei: stiamo vivendo una grande contraddizione. Le persone che censurano difendono da sempre una politica ideologica indipendente dallo sviluppo economico che è come se fosse staccato e parallelo. Per capirci: tu puoi guadagnare tanti soldi e sei totalmente libero nel modo con cui guadagnarli, ma se vuoi fare un film, scrivere un romanzo, fare del teatro, allora la censura ideologica vieta di dire certe cose e di toccare certi argomenti. In Cina la censura ha grande attenzione al presente, alle città e a un passato troppo vicino che non si può e non si deve toccare. Noi che facciamo cinema non sappiamo bene, però, quali siano tutti gli argomenti tabù. Così rischia sia chi finanzia, sia chi lavora, perché se il film non passa la censura e non va nelle sale c’è un grande danno economico. Spesso discutiamo con la censura, ma contraddizioni che nessuno ancora sa come risolvere».
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