希腊去! Di questi undici giorni in Grecia (II)
È un altro
giorno ad Atene. La metropolitana fino al porto del Pireo e un giro fuori dallo
stadio dei biancorossi dell’Olympiakos. L’aiuto di un’anziana magrebina alla
catena inglese di supermercati. Tanti, tantissimi gli immigrati. Dal Medio
oriente, dal Nord Africa, ma anche e soprattutto dal cosiddetto subcontinente
indiano. Credo di aver visto più indiani ad Atene che a Bombay. Città
multietnica e cosmopolita come poche altre. La città che non ti aspetti. In
tanti parlano inglese e lo parlano decisamente bene. Anni luce dalla situazione
in Italia. Anche io lo sto dimenticando, l’inglese. Neanche troppo lentamente.
Cioè, ancora me la cavo. Giusto quelle venti frasi per scambiare due
chiacchiere con un camionista bosniaco in un autogrill ucraino. Peccato. Le
sigarette costano pcoo meno che in Italia. Fumano tutti come bestie. Più dei
cinesi. Come i turchi, forse. Compro solo quelle greche, tipo le Assos rosse.
Poi c’è la birra Alfa, la Mythos, la Vergina, la Pils. Il vino non è gran cosa,
per lo meno quello a buon mercato. Invece con l’ouzo (tipico liquore greco
all’anice, parente stretto del Varnelli marchigiano), non sai mai come può
andare a finire. La pita con souvlaki, cioè una specie di kebab locale. In undici giorni avrò sbranato settantadue insalatone greche. Mi piacciono poco. In serata cenetta di pesce in un ristorantino nella zona
centrale di Monastiraki. Cenetta in compagnia di una vecchia compagna di studi
degli anni pechinesi e di un ex collega dell’università. Gira, gira, il mondo
non è poi così grande.
Nella
serata di San Silvestro pizza fatta in casa, per poi assaltare Piazza Sintagma.
Marea di persone, dj, musica e colori a sfondare questo nuovo anno. Ce ne siamo
andati quasi subito, perché nella calca generale le ragazze si sentivano
toccare nelle parti intime da violente mano maschili non meglio identificate. Sexual harassment, si dice in inglese. Lunga
passeggiata, scortati dalla birra e da cori al cielo, di nuovo fino ad
Exarchia. Persone conosciute per strada fanno destinare i nostri passi in uno
squat di musica rock. E giù a pogare fino all’alba. Per fortuna, al risveglio
pomeridiano, troviamo una delle coinquiline cucinare riso al curry e
lenticchie. Prelibatezze del nuovo anno. La classica giornata passata al divano
in buona compagnia, a sorseggiare tè caldo e ascoltare musica non troppo rilassante.
Il giorno dopo, finalmente, ce ne andiamo a fare un giro fuori Atene, direzione
Nafplio. 20 euro il biglietto andata e ritorno per tre ore di bus. Il paesaggio
è quello che ricordavo dal 2001: uliveti, aranceti, limoneti, cani selvaggi,
belle chiese ortodosse, castelli. Pietra, soprattutto. I greci non sono solo grandi
fumatori ma anche grandi consumatori di caffè. Quel caffè greco che sa di
bruciato e ricorda quello turco. Anche qui, nessuna attenzione per l’iper
consumo di plastica e la raccolta differenziata. La compagna Greta venga in
Grecia e si dedichi finalmente al curling. Nafplio meraviglia di centro
storico, rocca sul mare, isolotti, uliveti e cactus, il vecchio centro,
le rovine greche. Una fortezza veneziana del XVII secolo.
Il giorno
dopo tutti a Delfi. Che forse ci ha deluso un po’: tre ore di bus tra montagne
e villaggi innevati, per trovare un cumulo di antiche macerie. Io mi aspettavo
i Fori imperiali di Roma, una Pompei greca, il teatro di Siracusa. Invece da
ammirare c’è solo il panorama montuoso, il mare a valle e il Museo
archeologico. Pazienza. Arturo Benedetti Michelangeli. La Caritas di Udine.
Aveva ragione Herbert Marcuse. Più delle Civitanovese odio solo il capitalismo. “Ok, ma
cosa vorresti fare nella vita?”, ho chiesto al giovane. “Nella vita spero di
non fare niente”. Questi giovani di oggi. Il tramonto dal Lycabeto, tappa
obbligatoria. Oltre il romanticismo.
Bene. Ci
siamo. Siamo alla partenza, siamo ai saluti. E ai ringraziamenti. Grazie a S. e
a M. per avermi sopportato durante tutto il viaggio. Grazie ai coinquilini e
alle coinquiline di F. per l’ospitalità, senza dubbio disagiante e prolungata.
Ai libri, per avermi aiuto a dissipare le classiche paranoie di un primo
gennaio più ostico del solito. A J. per i cori da stadio. A C. per la lunga
passeggiata. A M. per aver ballato, sempre. A L. per la scena da film hollywoodiano di fronte al taxi. E a D., soprattutto, per avermi
ricordato che vivere non è respirare. Vivere è incendio doloso continuo.
Il bus per
Patrasso. A piedi fino al porto. Poi la nave, di nuovo, semi vuota. Il mare più
incazzato e il viaggio più lungo. Ed è di nuovo Ancona. I migranti, le famiglie
afgane, i controlli, il passaporto. Le colline marchigiane.
-
"Progetti per il nuovo anno?" - mi ha chiesto l'oracolo a Delfi.
-
"Mollare il posto fisso" - ho pensato.
Felice
2020. Viva l'anarchia!
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