Saturday, September 29, 2018

No al salario, sì all'onorario.

"c’è comunque qualcosa di particolare nel caso dell’insegnamento, e ognuno di noi lo sa bene: di fronte a noi abbiamo degli esseri umani, ciascuno dei quali si pone costantemente innanzi a noi col proprio desiderio di vivere, di conoscere, di comprendere, di comprendersi, di essere stimato, e che a volte ha la sensazione di non essere compreso, di non essere riconosciuto, perfino di essere disprezzato. Ogni volto ha la sua storia, che è un enigma. Anche il gruppo in quanto tale è un enigma. Una cosa è lavorare al motore di una macchina o a un mucchio di documenti contabili, un’altra è lavorare con un gruppo di bambini o di ragazzi. Il motore non chiede nulla; siamo noi a chiedergli qualcosa: che funzioni! I documenti non ci guardano negli occhi, ma semmai consumano i nostri. L’intensità dei rapporti interpersonali varia molto a seconda delle professioni. Essa appare forte nei gruppi d’impiegati, nell’esercito, nelle squadre sportive, nella relazione terapeutica. Nella relazione maestro/allievo raggiunge uno dei gradi più elevati. La posta in gioco è importante. Da questo punto di vista insegnare è al contempo un privilegio – grazie al rapporto costante con soggetti liberi – e una pesante responsabilità, perché la nostra influenza può cambiare delle vite. Possiamo dirlo senza retorica, perché è un dato di fatto. È proprio questo che in ultima analisi rende il mestiere d’insegnante un mestiere diverso. Ciò che lo rende appassionante e insieme estenuante. Ora, se insegnare è un lavoro, esso è anche, come tutti gli altri lavori, un lavoro vivente, che coinvolge – volenti o nolenti – tutto il nostro essere. E aggiungeremo: più che in tutte le altre professioni."

Tratto da:
"Salario, giustizia e dono. Il lavoro dell'insegnante" di Marcel Hénaff 

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