Friday, February 03, 2017

A zonzo per l'Abissinia (parte terza ed ultima)


C'è poco da fare, l'Italia è decisamente il paese più sviluppato dell'America Latina. Buttiamola sul filosofico, prendiamola con poligamia. Forse non tutti lo ricordano, ma da italiani abbiamo un grande primato: quello di esser stati il primo paese coloniale europeo ad aver perso una battaglia con gli indigeni in Africa. Proprio in Etiopia. Ad Adua nel 1896, per la precisione. Non passa lo straniero!  
Un po' per questo, un po' perché in tanti da quelle parti si ricordano dell'occupazione fascista, diciamo che se in generale gli italiani passano ancora oggi per "brava gente" un po' ovunque (lo dico per diretta esperienza in tanti anni di viaggi), qui qualcuno giustamente storce un po' il muso quando gli dici che sei italiano. Però, tuttavia, anche qui ci vogliono abbastanza bene. Più volte dei perfetti sconosciuti ci hanno offerto da bere nei bar o addirittura invitato a casa loro a mangiare. Dove c’è un bevitore c’è casa. E scene da bettola o da cantina, tipo il tale ben vestito che, troppo ubriaco per riuscire ad entrare nel bar, camminava all'indietro. O quell'altro, molto meno giovane, che piazzò un putiferio perché un tizio con i lunghi dreadlocks ci aveva permesso di fumare in un locale dove invece il fumo era vietato. Non importa dove vai: in un bar è come se non sei mai partito.
  
Grande invece la nostra guida: allegro signore sulla cinquantina, amante delle donne a pagamento e del gin, nato in Libia da genitori etiopi, cresciuto tra Italia e Svizzera, ormai lavoratore a tempo pieno nell'industria del turismo in Etiopia. Parla perfettamente bene l'italiano e (immagino) decisamente bene anche l'amarico. Oltre a portarci in giro, farci da guida e da interprete, ci ha anche insegnato molte cose su queste popolazioni, di cultura, sport, società, politica, storia. Simpatico, alla mano e affabile. Specie quando, già dal primo giorno, ha capito che tipo di persone eravamo:

"siete uomini di mondo e questa è cosa buona";
"ho fatto un bicchiere e quindi…";
"ci sono i turisti. E poi ci siete voi". Grazie, fa sempre piacere sentirselo dire.

Grande anche un simpatico regista teatrale conosciuto tra un drink e l'altro in un bar di Addis Abeba. E' lui il signore che ci ha invitati a mangiare enjera a casa sua, nonostante vivesse in condizioni molto umili in una baraccopoli lì vicino. Mi ha insegnato che "dopo i 55 anni una persona deve fumare mezza sigaretta alla volta" e che "chi beve è una brava persona"; ci ha inoltre confessato che per lui "il teatro è la miglior cosa, casa degli ingegneri dell'anima". Romantico. In ultimo ci ha mostrato un teatro (adibito anche a carcere) costruito dai fascisti italiani; il primo in Africa, a quanto diceva.

Mangiare poco e piuttosto ripetitivo. Enjera, zuppa di ceci e carne di vacca, per lo più. Quando riuscivamo a trovarle, anche piacevoli insalatone di frutta, com mango, avocado e papaya. Ehi, italiani bevitori di caffé, sapete perché il caffé si chiama caffé? Perché il nome deriva da Kaffa, provincia etiope dal quale è originario. Forse è proprio il caffé il prodotto più tipico di queste terre, anche se preparato e bevuto in maniera diversa rispetto a tanti altri paesi, come ho mostrato nelle foto pubblicate qualche giorno fa. Ad esempio lo bevono con cardamomo e altre profumate spezie, un po' come i turchi.

Non poteva mancare una visita all'università di Addis Abeba, ex quartiere generale dei gerarchi fascisti in Etiopia. Fuori dal museo etnografico, al centro del campus, si trova ancora una scala di cemento che protende verso l'alto, costruita quasi un secolo fa dai fascisti in onore di Mussolini. Ora sopra gli scalini troneggia il leone con lo scettro a croce, simbolo del popolo etiope. Anche qui di uomini bianchi o stranieri in generale poca roba. Abbiamo provato a fare un pasto nella mensa degli studenti, ma le cuoche ci hanno subito invitato ad uscire. Fuori dalla mensa un signore mi ha anche ripreso perché sosteneva che nel campus non si fuma. A poche decine di metri fuori dal campus troneggia una statua di Marx e dietro un giardino con ristorante, birrette fresche e musica disco a rotta di collo.

Andava quindi tutto bene, finché l'ultimo giorno, quello della partenza, ha nevicato di brutto in tutta Europa, costringendo l'aereoporto di Instabul a cancellare diverse centinaia di voli, compreso il nostro da Addis Abeba. Risultato: due giorni di forzata prigionia in un hotel a quattro stelle nei pressi dell'aeroporto della capitale etiope. Ironia della sorte: passare dalla mancanza di acqua corrente alle vasche idromassaggio e la TV satellitare. Il coefficiente di Gini e la classica vecchia storia di chi non ha acqua da bere perché c'è chi annaffia troppo il campo da golf. Nel mondo il terrorismo e noi prigionieri perché nevica ad Istanbul. Ora so come si sentivano i marò.
Al terzo giorno di prigionia siam riusciti per miracolo a trovare un altro volo con un'altra compagnia via Dubai e Atene. La sociologia dell'aeroporto. L'attesa. La notte sulle panchine. Il whisky irlandese e le sigarette cinesi. Svariate partite a tressette con una maceratese per ammazzare la noia e svuotare la mente. Il mattino dopo la smoking room è lì solo per ricordarti che devi smettere di fumare.  E così sia.

Ah, non vi ho detto che sulla "strada" che da Addis Abeba conduce a nord verso Gondar e Lalibela, si attraversa anche la sorgente del Nilo Blu, principale affluente del fiume più lungo al mondo. Grande emozione, inutile dirlo. Bene, detto questo, alcune considerazioni finali:

1. - ormai sono vecchio e posso affermare non senza un certo orgoglio: odio gli ostelli e la gente in essi contenuta. Meglio -sempre meglio- dormire sotto le stelle;

2. - boicotta le guide cartacee o digitali che siano; sì, forse ti sanno dare informazioni utili, ma a costo di rovinarti lo spirito dell'avventura e, quindi, del viaggio. Soprattutto boicotta Lonely Planet. Perché? Guarda cosa scrive riguardo all'Etiopia:

"anche se non manca chi considera Dire Dawa semplicemente una versione più vivace della noia"

"L'alto e solido centro di Dessie, circondato da un mare di tetti di lamiera, sembra nascondere qualcosa di interessante, ma non è così"

O, con riferimento alle meraviglie architettoniche di Lalibela: "pregiudizio per cui sarebbe impossibile che opere del genere siano interamente africane". Come a dire, "troppo belle queste chiese, non possono averle costruite i negri da soli". Ci devono essere gli uomini bianchi di mezzo. O per lo meno i meno scuri Egizi. O i Beatles. I Rolling Stones. I marziani. Donald Trump. I rettiliani.

3. - Quindi, perché viaggiare? Si possono senza dubbio fornire risposte diverse a questa domanda, ma se dovessi presentare la prima che mi viene in mente direi… provate a leggere Mishima schiacciato in un bus etiope a lunga percorrenza masticando erba qat mentre alla vostra sinistra scorre rapidamente ma non troppo l’Abissinia…

provate a rifugiarvi sotto il Patto di Varsavia 
con un piano quinquennale 
la stabilità
CCCP – "Live in Pankow"

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