Thursday, January 19, 2017

A zonzo per l'Abissinia (parte prima)


Io penso che i racconti di viaggio vadano scritti quando sono ancora caldi. Di petto. Di pugno. Di stomaco. Di ignoranza. Non come una minestrina fredda. Non a dieci giorni dal rientro.
Quindi farei volentieri a meno di scriverne. Ma mi sentirei in colpa. In colpa per non aver condiviso se non qualche immagine.

Quindi...

Se tu dall'altipiano guardi il mare, 
moretta che sei schiava fra gli schiavi, 
vedrai come in un sogno tante navi
e un tricolor che sventola per te

Questa è una canzone fascista scritta nel 1935. Parla di Etiopia italiana. Me la cantava mia nonna quando ero piccolo perché a lei la insegnarono quando era a scuola.
Poi crescendo ho simpatizzato per l'anarchia e l'antifascismo, quindi questa e tutte le altre canzoni del ventennio le ho messe da parte. Incosciamente, tuttavia, l'Abissinia mi ha sempre affascinato, incuriosito, attratto. Una specie di "Africanismo".

L'ultima volta nell'Africa "nera" (ovvero quella subsahariana) è stato nel 2003 in Kenya. Parecchio tempo fa. Giusto tornare e giusto farlo in compagnia e durante le vacanze invernali.
Ad Addis Abeba siamo arrivati in aereo da Roma via Istanbul. A farmi compagnia il solito zainetto delle scuole superiori di mia sorella con un sacco a pelo e qualche libro dentro; due maceratesi e un trentino completano, per ora, la squadra. Ad Addis Abeba (il cui nome significa "Nuovo fiore" in lingua amarica) atterriamo di notte, la fila per il visto turistico (48 euro, cash alla cassa) e siamo accolti dalle luci arancioni antistanti l'aeroporto. Un paio di sigarette e un taxi che ci porta in centro per 10 euro. Strade larghe e polverose, qualche palazzo, ponti fatiscenti, non un cane in giro: dopo 15 minuti siamo alla stazione dei treni. Lì ho il contatto di un signore che ha un piccolo hotel. Le camere sono decisamente modeste, manca anche l'acqua corrente. Va bene così, più punk!

Il prezzo lo veniamo a sapere solo il mattino dopo. Non proprio punk, diciamo. Ci raggiungono altri due ragazzi piemontesi e il pulmino con autista etiope e guida italo-etiope coi quali passeremo i prossimi tre o quattro giorni. Non ci resta che passare di nuovo all'aeroporto per prendere l'ultimo componente del gruppo: un amico di vecchia data, anche lui piemontese, attualmente in Kenya per motivi di lavoro.   

Prime impressioni? Addis città di tre milioni di abitanti nascosti non si sa bene dove; in giro pochi grattacieli, pochi palazzoni, per lo più vaste aree misto urbane e verdi con baraccopoli più o meno estese, tanti i cantieri, strade non asfaltate, buche in ogni dove, grande polvere e grazie a dio non ci facciamo mancare neanche l'inquinamento; compagnie nazionali cinesi a costruire nuovi edifici e infrastrutture; totalmente assente "l'anima" della città, ovvero la parte più antica, quello che in Italia chiamiamo "centro storico", le chiese, gli edifici antichi, ecc... Poi facciamo presto a capire: Addis Abeba ha poco più di un centinaio di anni di storia, non è una capitale storica. La tanta polvere e la mancanza di acqua corrente mi richiama alla memoria i viaggi in Egitto e Kenya. Se avete in mente una tipica metropoli cinese provate a immaginarvi l'esatto opposto, o come poteva essere negli anni sessanta: ecco Addis Abeba.

"Etiopia" deriva dal nome greco che sta per "terra della gente con il viso bruciato". Razzisti, evidentemente. La strada che porta fuori Addis in direzione nord è una delle più grandi del paese, ma anche se asfaltata è a una corsia per carreggiata, non divisa da niente né protetta ai lati, dove scorrazzano infatti mandrie di buoi, capre, dromedari, bambini, uomini col bastone e donne cariche di merce. Più che una autostrada sembra una piccola provinciale italiana degli anni cinquanta.
Quindi la campagna, fatta di alternarsi di aride valli e secchi altipiani, dove i contadini coltivano per lo più il teff, un cereale dal quale ottengono l'enjera, una specie di larga piadina bagnata che consumano come companatico. Davvero tanta la gente che cammina al fianco della strada, dall’alba al tramonto, quasi per nulla curandosi delle auto e dei camion che passano. La precedenza, comunque, ce l’hanno i dromedari. Per il resto è uno spettacolo continuo di allevatori di bestiame, compresi bambini di tre o quattro anni che portano la loro bestia al pascolo armati di bastoni (che qui sono simbolo di virilità, come i baffi nel mondo arabo o i pettorali da noi). Notiamo inoltre che molti uomini se ne stanno qua e là a riempirsi la bocca di piccole foglie fresche, masticando senza tregua, per ore ed ore. E' il qat, una pianta alcaloide considerata droga in molti paesi europei. Ma non in Etiopia, dove anzi è molto consumata da uomini di ogni età. Per la scienza questo e altro, anche noi acquistiamo del qat e ci mettiamo a ruminare per un paio di ore... l'effetto è quello di leggero benessere, entusiasmo per la vita, chiacchiere a go go e lingua che va da sola. Come dopo tre caffé di fila. Il qat non andrebbe consumato con raki (la grappa locale, simile a quella greca, serba o albanese) o alcool in generale, perché provocano effetti opposti che rischiano di annullarsi a vicenda. "E' come se prendi eroina e cocaina assieme", ci spiega la guida.


Ok, parliamo allora di cose vili e meschine, come il denaro: quanto costa la vita in Etiopia? Non so bene, ma qui possiamo cominciare a farci un'idea... Un euro corrisponde a circa 23 birr (la moneta ufficiale etiope), al mercato nero con un euro di birr ne prendi 26. Il taglio più grande è da 100 birr, quindi circa 4 euro. Sì, hai capito bene: 4 euro è la banconota più grande in questo paese. To birr or not to birr.
Bene. I prezzi li facciamo però in euro: le birrette da 33cc costano nei bar almeno 40 centesimi di euro; un bicchiere di raki 80 centesimi; un litro di raki 2 euro; un pasto non troppo abbondante o vario al ristorante costa un paio di euro; dodici ore di pullman costano 6 euro e tanto mal di schiena; un pacchetto di sigarette etiopi costa circa 1 euro, quelle straniere stanno sui 3 euro; un biglietto del bus 10 centesimi; la linea metropolitana di Addis Abeba è gratutita, ma forse ci siamo sbagliati; un "letto" in uno dei loro hotel da viaggiatori costa tra i 2 e i 12 euro per notte; mezzo chilo di qat sui 8 euro; un kalashnikov russo lo porti a casa con 635 euro. 

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