La democrazia porta caos e incertezze, l’assolutismo cinese assicura stabilità
"Tra Clinton e Trump per Pechino vince il Partito unico. A poche ore dallo spoglio, l’agenzia di stampa statale Xinhua aveva ricordato come il grottesco teatrino dei due sfidanti alle presidenziali americane, scandito da scandali e accuse incrociate, fosse l’esempio lampante del decadentismo occidentale. “La democrazia porta caos e incertezze, l’assolutismo cinese assicura stabilità”; questo il messaggio velato circolato sui media d’oltre Muraglia, che in assenza di comunicati ufficiali – in ossequiosa osservanza al principio cardine della non ingerenza negli affari altrui – danno voce alla nomenklatura cinese.
Nei mesi che hanno preceduto la vittoria del biondo imprenditore l’appoggio del gigante asiatico è sembrato oscillare tra i due candidati, a seconda che si prendesse in esame il sentire popolare o le elucubrazioni della leadership capitanata da Xi Jinping. Stando a un articolo autografato da Isaac Stone Fish apparso su Foreign Policy, alla vigilia dello spoglio l’ipotesi Clinton tranquillizzava i policymaker sostenitori dell’“usato sicuro”.
Nonostante le affilate critiche contro la scarsa osservanza dei diritti umani in Cina e la politica estera assertiva dimostrata dalla candidata democratica ai tempi in cui era Segretario di Stato, la Clinton avrebbe infatti rappresentato, senza grandi scosse, una naturale estensione dell’amministrazione Obama. Quindi “Pivot to Asia” e alleanze strategiche con i rivali asiatici, ma anche maggiore tolleranza verso le politiche economiche e monetarie cinesi, assicurando lunga vita alle sinergie commerciali grazie alle quali lo scorso anno la Cina è diventata il primo partner degli Stati Uniti, scavalcando il Canada. Al contrario, Trump – con le sue minacce protezionistiche – costituisce “un brutto colpo per la governance globale e la globalizzazione” in un momento in cui la crescita cinese, ai minimi dagli anni Novanta, ha assoluto bisogno di cementare quegli scambi virtuosi che nel 2015 hanno raggiunto quota 659,4 miliardi di dollari. Le stesse caratteristiche che hanno permesso al candidato repubblicano di accattivarsi le simpatie del cinese comune – in virtù della sua natura di outsider, anti-establishment, e fautore di un insolito disimpegno dall’Asia-Pacifico dopo decenni di imperialismo a stelle e strisce – creano invece disagio al vertice del potere. “Qualunque sarà l’esito delle urne i problemi sembrano garantiti, tanto per gli Stati Uniti quanto per il mondo”, vaticinava la Xinhua un paio di giorni fa.
Un primo segnale inquietante è arrivato dalle borse: Hong Kong è affondata di 800 punti non appena il candidato alla Casa Bianca ha vinto lo stato jolly dell’Ohio, per poi assestarsi su un -3 per cento. Ma nelle segrete stanze di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, prevale una diplomatica cautela. Dopo un primo tentennamento, il presidente Xi Jinping si è congratulato con Trump mentre il portavoce del ministero degli Esteri ha reso noto che “la Cina collaborerà con il nuovo presidente per assicurare uno sviluppo costante e solido delle relazioni bilaterali”. La partnership sino-americana “è abbastanza matura da riuscire a superare le differenze”, sembra autoconvincersi la seconda economia del mondo."
Fonte:
http://www.iltascabile.com/societa/oriente-trump/
Nonostante le affilate critiche contro la scarsa osservanza dei diritti umani in Cina e la politica estera assertiva dimostrata dalla candidata democratica ai tempi in cui era Segretario di Stato, la Clinton avrebbe infatti rappresentato, senza grandi scosse, una naturale estensione dell’amministrazione Obama. Quindi “Pivot to Asia” e alleanze strategiche con i rivali asiatici, ma anche maggiore tolleranza verso le politiche economiche e monetarie cinesi, assicurando lunga vita alle sinergie commerciali grazie alle quali lo scorso anno la Cina è diventata il primo partner degli Stati Uniti, scavalcando il Canada. Al contrario, Trump – con le sue minacce protezionistiche – costituisce “un brutto colpo per la governance globale e la globalizzazione” in un momento in cui la crescita cinese, ai minimi dagli anni Novanta, ha assoluto bisogno di cementare quegli scambi virtuosi che nel 2015 hanno raggiunto quota 659,4 miliardi di dollari. Le stesse caratteristiche che hanno permesso al candidato repubblicano di accattivarsi le simpatie del cinese comune – in virtù della sua natura di outsider, anti-establishment, e fautore di un insolito disimpegno dall’Asia-Pacifico dopo decenni di imperialismo a stelle e strisce – creano invece disagio al vertice del potere. “Qualunque sarà l’esito delle urne i problemi sembrano garantiti, tanto per gli Stati Uniti quanto per il mondo”, vaticinava la Xinhua un paio di giorni fa.
Un primo segnale inquietante è arrivato dalle borse: Hong Kong è affondata di 800 punti non appena il candidato alla Casa Bianca ha vinto lo stato jolly dell’Ohio, per poi assestarsi su un -3 per cento. Ma nelle segrete stanze di Zhongnanhai, il Cremlino cinese, prevale una diplomatica cautela. Dopo un primo tentennamento, il presidente Xi Jinping si è congratulato con Trump mentre il portavoce del ministero degli Esteri ha reso noto che “la Cina collaborerà con il nuovo presidente per assicurare uno sviluppo costante e solido delle relazioni bilaterali”. La partnership sino-americana “è abbastanza matura da riuscire a superare le differenze”, sembra autoconvincersi la seconda economia del mondo."
Fonte:
http://www.iltascabile.com/societa/oriente-trump/
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