Friday, March 06, 2015

Diario di un prof.: del bullismo femminile.



Quando ero piccolo, tra maschietti ci si prendeva a botte. Era uno dei divertimenti maggiori. Ti faceva sentire grande, guadagnare rispetto, tornare a casa con i “merchi” (credo sia dialetto maceratese, in italiano immagino sia “lividi e sfregi sulla pelle dovuti a graffi e sberle”), i vestiti sporchi di sangue o un occhio nero, pronto ad affrontare i genitori. I genitori poi te ne avrebbero date altre sopra, indipendentemente da chi avesse iniziato o di chi fosse stata la colpa. Una volta i genitori facevano i genitori e non erano tuoi amici. Quando tornavi a casa dopo esserti azzuffato con uno tuo coetaneo erano guai. Non per lui, ma per te.

A scuola poi c’era un po’ di bullismo. La noia, si sa, crea mostri. Tra i vari mostri c’era il bullismo. In pratica, sempre tra maschietti, quelli più grandi prendevano di mira quelli più piccoli e li trattavano da schiavetti; a volte ci si picchiava, anche. O ci si picchiava con quelli dell’altra classe, o con quelli dell’altra scuola, o con quelli che puntavano le stesse ragazze del tuo gruppo, o con quelli dell’altra città, o con quelli che credevano di essere più fighi di te. Insomma, l'importante era picchiarsi: un modo come un altro per combattere la noia e "diventare grandi". Niente di che, era quasi divertente  (se eri tu a darle; non proprio divertente se eri tu a prenderle).

Oggi invece a picchiarsi sono le ragazze. Cioè, le ragazzine. Si parla infatti di “bullismo femminile”. Pensavo dicessero "buddismo femminile" e avevo pensato "Wow, anche da queste parti spuntano centri di meditazione e filosofie orientali solo al femminile!", ma avevo capito male e trattasi, ahimè!, proprio di "bullismo femminile". Ne avevo sentito parlare in tv, pensavo fosse una panzanata da giornalismo di bassa lega o ristretti fenomeni da metropoli come Roma o Milano. E invece capita anche qui, nella periferia dello Stato Pontificio. Persino nei licei, persino dove lavoro io. Da non crederci! Pensare le tue alunne atteggiarsi a spaccone con altre loro coetanee, prendersi a male parole e poi a schiaffi e pugni in pubblico, finire a terra e continuare lì, come cani che si azzuffano, peggio di noi maschietti che facevamo a cazzotti.

È di fronte a questi episodi che realizzi una banale verità: non è il cinese che va insegnato a scuola, ma tenere le mano in tasca e pensare due volte prima di farsi rapire dall'ira.

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