Monday, July 28, 2014

Diario di viaggio (I): Macerata-Rio sola andata

In Brasile da ormai una settimana, giunto e' il tempo di lasciare due righe...

Incontrato all'aeroporto di Fiumicino F., mio giovanissimo cugino studente di filosofia ed imperdibile compagno di viaggio alle prime armi, abbiamo da aspettare alcune ore prima del volo per Madrid e la coincidenza per Rio de Janeiro. Ci rendiamo conto che in effetti di viaggio abbiamo programmato ben poco: abbiamo pero' degli indirizzi di amici e parenti qua e la' tra Rio e Buenos Aires. Brasile meridionale, Uruguay e Argentina passando per le cascate di Iguazu' sono la strada che abbiamo in mente di fare: piu' o meno 4.500 chilometri via terra, secondo GoogleMaps. In cinque settimane dovremmo farcela, salvo imprevisti, sfighe e innamoramenti last minute del caso.

Sincronizziamo i cellulari, collassiamo un paio d'ore all'addiaccio e siamo pronti: davanti a noi il gate con su scritto "Rio de Janeiro". Ciao Macerata, ciao Fiumicino, ciao Italia, buona estate a tutti/e! Il volo passa tranquillo, ovvero al freddo e con cibo scarso e poco invitante, meno male due film e un documentario sul calcio brasiliano... Dodici ore dopo circa siamo all'aeroporto Galeao-Antonio Carlos Jobim. Rio ha quattro o cinque aeroporti, ma il piu' grande e attivo e quello Jobim, situato nella parte nord della immensa metropoli: sette milioni di persone, piu' l'area metropolitana. Essendo sera, ci avevano consigliato di evitare il bus e prendere un taxi e cosi' facciamo. Al banchetto dei taxi "ufficiali" vogliono 125 reais (circa 40 euro) per compiere i 25 chilometri che ci dividono dal nostro appartamento; decidiamo allora di prendere un taxi "ufficiale" fuori dall'aeroporto: il tassista spara la sua auto a tutto per le tangenziali periferiche della citta', portandoci a destinazione in meno di venti minuti. Prezzo? 56 reais, meno della meta' di quanto ci avevano chiesto all'inizio. Ci e' andata bene, non vi fate fregare.

Siamo nella parte estremo-meridionale di Rio, di fronte alla spiaggia di Copacabana. Ad aspettarci c'e' D., un giovane studente locale, nipote di amici della famiglia di F., che cordialmente ci apre le porte di quella che per i prossimi giorni sara' la nostra casa: un appartamento moderno al decimo piano di un palazzo a due passi dalla spiaggia piu' conosciuta al mondo. Non suona male, almeno come inizio. Ci appare evidente immediatamente la prima difficolta': la lingua. Praticamente quasi non riusciamo a comunicare con D., capisco solo "Voi parlate cosi' tante lingue, io solo il portoghese e male". Risate a parte, il portoghese al primo acchitto non e' cosi' semplice; tra me e F. parliamo discretamente almeno cinque lingue, ma nessuna ci e' d'aiuto, neanche lo spagnolo. A poco serve il dizionario, dato che il portoghese parlato da queste parti non si pronuncia come si legge. La cosa non mi dispiace, anzi consola: finalmente un paese dove sono costretto a comunicare a gesti e sputare sangue per beccare il pullman giusto, finalmente qualcosa che posso chiamare "avventura" e non "pic-nic con gli amici"...

Il primo giorno visitiamo i "must" di Rio: la "Montagna di zucchero" e il Cristo Redentore, dai quali osservare il paesaggio unico e affascinante della citta' carioca, siti nel verde tropicale alla larga da grattacieli e tristi palazzi. Avevano ragione: Rio e' davvero bella e va assolutamente visitata, non tanto per l'architettura o l'urbanistica, quanto piu' per questi panorami mozzafiato e questo saliscendi di verdi montagnole tra agglomerati urbani, favelas e spiagge. Turisti tanti ma non troppi, in giro pochi negozi o attivita' cinesi, l'inglese non lo parla quasi nessuno o forse i giovani lo parlano ma si vergognano a comunicare in inglese perche' evidentemente poco abituati a farlo. Chiaro, solo impressioni del viaggiatore in Brasile da meno di 24 ore. Eccovene altre due:

- vitalita', cordialita' e ricchezza di colori a parte, ai miei occhi appare evidente l'influenza (culturale, etnica, economica, gastronomica, architettonica, ecc...) europea, in primis italiana e spagnola. Insomma, da italiano ti senti un po' a casa;

- in termini di melanina, trovi in giro persone dal bianco cadaverico-alemanno (pochi, in realta') al nero pece-ugandese (non tanti, a dir il vero), passando per una serie infinita di sfumature caffe'-latte che solitamente chiamiamo "mulatto/i". Ecco, per lo piu' i brasiliani a Rio sono mulatti che danno verso il bianco. Alla Neymar, per intenderci. Non sono rari gli occhi tendenti alla mandorla, data la tradizionale massiccia immigrazione da parte dei giapponesi. Tutto cio' fa si' che da turista italiano tu ti senta perfettamente "uno qualsiasi", non desti l'attenzione della gente, ne' per come ti vesti (maglietta, pantalone corto, infradito) ne' per i tratti somatici. Non e' cosi' ovunque: chi ha vissuto in Cina, Giappone, Kenya o India puo' capire benissimo a cosa io mi stia riferendo.  

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