Migranti italiani in Cina (pronostico del 2009)
"I cinesi potremmo diventare noi. Anzi, in più di una spetto la trasformazione è già in atto. Quindi meglio cominciare a esercitarsi con l'empatia.
Immaginatevi lo scenario. 2013. La crisi finanziaria non si è affatto arrestata. Tutto il resto sì, in compenso. E' franata la classe media, i poveri sono ormai un esercito. Che non arriva nemmeno alla terza settimana del mese. I più intraprendenti, o disperati, decidono di andarsene. Dove? La scelta è quasi obbligata. Nella nuova America, l'unico paese che continua a crescere a ritmi sostenuti e che nel frattempo ha superato la vecchia superpotenza quanto a produzione industriale (il 17 per cento contro il 16 per cento del totale del pianeta, stando ai calcoli di Global Insight), il colosso orientale dove dal 2000 al 2007 il reddito pro capite è raddoppiato, il numero dei telefonini si è sestuplicato e quello delle automobili decuplicato: la Cina. [...] Arrivati a Pechino, però, questi pionieri non parlano una parola di mandarino, lingua terribilmente difficile. Gli unici lavori che trovano sono nei ristoranti italiani. Con le mance dei nuovi ricchi riescono a mandare rimesse a chi è rimasto a Milano, Napoli, Torino. Ma la vita è uno schifo. Non capiscono niente di quel che succede intorno a loro, se non quando qualcuno gli si rivolge ridendo e storpiando il trittico 'pizza, mafia e mandolino'. Vivono in ghetti tra connazionali, l'unica spasso - dal momento che cinema e letture sono off limits per motivi linguistici - è la partita a tressette del sabato sera. E nei rarissimi momenti liberi si precipitano in qualche internet café per parlare via Skype con i figli o i parenti lontani"
Tratto da "Miss Little China. Sudano, piangono, sognano. L'Italia dei cinesi", di R. Oriani e R. Staglianò, 2009.
Immaginatevi lo scenario. 2013. La crisi finanziaria non si è affatto arrestata. Tutto il resto sì, in compenso. E' franata la classe media, i poveri sono ormai un esercito. Che non arriva nemmeno alla terza settimana del mese. I più intraprendenti, o disperati, decidono di andarsene. Dove? La scelta è quasi obbligata. Nella nuova America, l'unico paese che continua a crescere a ritmi sostenuti e che nel frattempo ha superato la vecchia superpotenza quanto a produzione industriale (il 17 per cento contro il 16 per cento del totale del pianeta, stando ai calcoli di Global Insight), il colosso orientale dove dal 2000 al 2007 il reddito pro capite è raddoppiato, il numero dei telefonini si è sestuplicato e quello delle automobili decuplicato: la Cina. [...] Arrivati a Pechino, però, questi pionieri non parlano una parola di mandarino, lingua terribilmente difficile. Gli unici lavori che trovano sono nei ristoranti italiani. Con le mance dei nuovi ricchi riescono a mandare rimesse a chi è rimasto a Milano, Napoli, Torino. Ma la vita è uno schifo. Non capiscono niente di quel che succede intorno a loro, se non quando qualcuno gli si rivolge ridendo e storpiando il trittico 'pizza, mafia e mandolino'. Vivono in ghetti tra connazionali, l'unica spasso - dal momento che cinema e letture sono off limits per motivi linguistici - è la partita a tressette del sabato sera. E nei rarissimi momenti liberi si precipitano in qualche internet café per parlare via Skype con i figli o i parenti lontani"
Tratto da "Miss Little China. Sudano, piangono, sognano. L'Italia dei cinesi", di R. Oriani e R. Staglianò, 2009.
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