Diario di un prof: domanda di lavoro
Il bello dell'essere precario è che hai sempre
la terra che frana sotto ai tuoi piedi. Nessuna stabilità, nessuna certezza del
domani lavorativo, oggi fai qualcosa qui, domani là, passato domani chissà.
Magari passa un altro asteroide e i suoi meteoriti spianeranno tutte le università
che ci sono nei paraggi, così da evitare di preoccuparti per il lavoro e finire per accettare il
tuo status di disoccupato squattrinato e contento.
Da precario ti tocca quindi, quasi come parte
del contratto da precario che hai, stare sempre con le orecchie tese e i gomiti
alti, pronto a fiondarti su ogni minima possibilità di impiego che fiuti.
In termini accademici questo si traduce come
"application", ovvero fare domanda per un posto di insegnamento o di
ricerca X nell'università o istituto Y. Le possibilità escono fuori di tanto in
tanto e tu devi essere sempre pronto e non lasciartele sfuggire. Inutile dire
che la mia natura di pigrizia e menefreghismo si lascia andare un buon 80%
delle opportunità, per poi lamentarmi se non riesco ad accaparrarmi le restanti
20%.
"Basta insomma dare domanda!"
penserete voi, ma la realtà è ben diversa, dato che per fare anche solo una
"application" ci vogliono ore di lavoro.
Innanzitutto bisogna sapersi vendere, e a me
il mercato ha sempre e solo fatto schifo. Non sono una vacca e non voglio
addobbarmi da puttana per trovare uno straccio di lavoro.
Secondariamente, bisogna avere le carte in
regola per mandare una application (Curriculum Vitae aggiornato e in inglese,
vasto numero di pubblicazioni, estratti delle pubblicazioni a portata di mano,
una lettera di introduzione, un progetto di ricerca valido, ecc...). I
materiali possono cambiare di volta in volta.
Devi avere quindi un computer e internet
funzionante sotto mano per almeno tre o quattro ore di fila.
Capita a volte che la figura che cercano è
esattamente la copia spiccicata di te, peccato che la domanda scadesse proprio
ieri. O che hai tutto perfetto, ma l'area di studi è lievemente diversa da
quella che cercano. O che proprio oggi il loro maledetto sito non funzioni. O
che ti chiedano di imparare un po' di norvegese per fare lezioni in lingua
locale. E varie altre sfighe che sembrano fantozziane, ma invece sono la triste
realtà.
Inoltre, dulcis in fundo, le contraddizioni
interne al sistema: la "recommendation letter", ovvero la lettera di
referenza. Sono delle lettere scritte da tuoi diretti superiori, tipo il datore
di lavoro, il preside del dipartimento o altro responsabile, un professore per
il quale hai lavorato, il supervisore della tua tesi di dottorato, ecc...
Servono a dare autorevolezza alla tua domanda di lavoro e a verificare che
effettivamente quello che hai affermato sia vero.
A me capita spesso di avere ex studenti che mi
chiedono una lettera di referenza quando fanno domanda per corsi di Master e
simili. Ne avrei bisogno anche io quando faccio domanda di insegnamento o
ricerca nelle varie università, il problema è però che il mio ex
supervisore odia perdere tempo con queste cose... Per questo ho come unico
referente la preside della facoltà dove insegno al momento. Il guaio è che
quasi mai ti chiedono una sola lettera di referenza, ma almeno due o tre da persone
diverse.
Che sfiga sarebbe una sfiga solo a metà...
Talmente di buon umore oggi da aver voglia di party
selvaggio, di quelli da svegliarti il giorno dopo e mettere il fegato a
stendere assieme ai calzini ancora sporchi di vomito...
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