Party on! Breve storia di una breve avventura punk
Pechino, Università del Popolo, dicembre 2010. Una studentessa neozelandese di origine cinese organizza una mega festa in uno dei bar del campus. La festa è gratuita ed aperta a tutti, la stragrande maggioranza dei partecipanti sono studenti stranieri. Una cinquantina di ragazzi e ragazze tra i 18 e i 28 anni, da una trentina di diversi paesi. Balli, danze etniche, spettacoli, sketch comici, musica, alcool. La festa è un successone, verso mezzanotte il bar ci caccia e ci rifugiamo in un altro bar fuori l'università. Torniamo in dormitorio rotolandoci per le strade di una Pechino a dieci gradi sotto zero. Nasce il “Party on!”.
A gennaio iniziano le vacanze del capodanno cinese e la festa di primavera. Il campus si svuota, gli studenti tornano a casa, io mi rompo tre costole ad un concerto punk e me ne sto zitto zitto chiuso in camera a scrivere la tesi di dottorato. A fine febbraio le costole stanno meglio, gli studenti tornano in università per l'inizio delle lezioni. Ricomincia il “Party on!”.
Il “Party on!” è un movimento sociale non organizzato, apolitico e alcolico. Non esistono tessere né membership, l'unica regola del suo ordinamento è l'assenza totale di regole. “Party on!” è formato da un numero non preciso di studenti e studentesse stranieri/e dell'Università del Popolo. Ma non solo. Scopo del “Party on!” è il divertimento condiviso e generalizzato, tramite creazione di feste improvvisate e occupazione di spazi pubblici e privati. “Party on!” è anche il motto del movimento stesso. “Party on!” è un urlo di battaglia. “Party on!” è libertà e desiderio di evasione.
Marzo 2011. Una lunga serie di feste a ripetizione con cadenza diaria segna pesantemente il corpo e lo spirito del gruppo. Mal di testa, gonfiori in faccia, assenza alle lezioni e bocciature agli esami scritti segnano i membri del “Party on!”. Il gruppo non molla. Anzi, raddoppia.
Feste nelle camere da letto del dormitorio, occupazioni forzate di appartamenti di persone non meglio identificate, irruzione presso feste di compleanno, risse ed incidenti di percorso, una cirrosi per amica, paura e delirio per i locali del quartiere studentesco Wudaokou. Il peggio deve ancora arrivare: estate.
Organizzazione di cene a base di birra negli spazi del campus, picchetto quotidiano sotto il grande albero di fronte all'ingresso del dormitorio. Intervento sporadico di forze dell'ordine. “Party on!” ormai è uno stile, un modo di vivere e di vivere il divertimento. Un'occupazione del prato al centro del campus con tanto di barbecue ci costa caro: stavolta la sbirranza non ci passa sopra. “Avete superato il limite” ci mandano a dire dalla direzione. Figuriamoci. Occupazione del terrazzone sul tetto del dormitorio, barbecue e birre aspettando l'alba. Tornano le guardie, ci fanno sgombrare. “Vietato stare in terrazzo. È pericolo” dicono. Torniamo armati di materassi e coperte. Ma siamo pochi. Stanchi. Il “Party on!” è al suo tramonto. Le vacanze sono alle porte, gli studenti torneranno ai loro paesi d'origine e il “Party on!” resterà un dolce ricordo dalla fiatella etilica. Tornano le guardie. Da studente più anziano (in ogni senso) mi faccio avanti e ricordo questo lungo dibattere con un cinese in divisa. Io a protestare per salvare il culo al “Party on!” e gli altri buttati a terra ubriachi a gozzovigliare. Non c'era più unità, solidarietà. O forse non c'è mai stata. È stata solo la mia fantasia a “politicizzare” il “Party on!”, vedendo in esso una sorta di libertaria e alcolica comune di studenti stranieri. Vedere un movimento sociale in un gruppetto di giovani studenti con la sola voglia di far festa e sballarsi. Colpa mia, evidentemente. Troppo romantico, forse.
Il “Party on!” finì quella notte stessa. Ne è valsa la pena, oh, se ne è valsa pena! È stato un piacere. Ed un onore.
Evviva il “Party on!”!
p.s. Questo post è dedicato ai ragazzi e alle ragazze che sono state “Party on!”. Buona vita, ovunque voi siate ! “Party on!”!
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