Squatting Japan (2): tra i senzatetto di Osaka
PREMESSA: gli occhi con i quali ho osservato e descritto il “mio” Giappone sono quelli di un italiano che ha vissuto in Cina per molti anni. La lettura ai seguenti post dovrà necessariamente tenere conto di questo.
Altra cosa molto importante: sono rimasto davvero entusiasta di questo viaggio. Il piacere del viaggio stesso, le novità trovate in terra giapponese e la curiosità per la sua cultura hanno completamente ricaricato le batterie che da troppo tempo avevo ormai spente nella mia noiosa e stressante vita pechinese.
Il giorno dopo mi svegliano alle 6.30. Mi alzo che sono più stanco del giorno prima. Io, Vecchio So, Vecchio Punk e Ryu prendiamo la metro fino a Doubutsuemmai, non lontano da Tennouji. Usciti dalla metro, mi portano in un grande e grigio edificio che cade a pezzi. Sono da poco passate le sette di mattina, e in questo che sembra un grande edificio per il mercato del pesce, sono buttati qua e là un centinaio di senza fissa dimora. Sembra davvero di stare in uno di quei romanzi di Bukowski, dove dei cinquantenni senza dio né famiglia si fanno vittime dei caporali del lavoro per procurarsi i soldi con cui sbronzarsi la sera. Ryu e gli altri due sistemano un banchetto con tanto di bandiera nera e A cerchiata, volantini, poster e un altoparlante. Ryu comincia la sua arringa propagandistica, Vecchio So e Vecchio Punk distribuiscono i volantini ai molti presenti, che fanno colazione con saké e sigarette. Alcuni sono vestiti di stracci, altri sono proprio ridotti male di fisico e di testa. Non solo poveri o malandati insomma, ma anche gente con seri problemi psicologici e relazionali.
Poco dopo arrivano quelli del sindacato socialista, anche loro con banchetto, volantini, poster e alto-parlante. Appena Ryu finisce il suo discorso attaccano loro.
Alle 8.30, al piano superiore, lo sportello dell'ufficio collocamento apre e un alto-parlante chiama dei numeri. I vari senzatetto si sistemano in fila secondo numero di tessera. Sono tutti lavori di merda, mi spiega Ryu, puliscono le strade o vanno a raccogleiere riso. Sei ore al giorno, per cinquanta euro e senza assicurazione. Duecento al giorno circa, su duemila senzatetto registrati qui. C'è una ONG che si occupa del servizio sanitario, facendo visite ed analisi ai lavoratori a giornata e dando medicine. I sindacati premono soprattutto per l'assistenza sanitaria.
Quando tutti i lavoratori hanno preso il foglietto con l'indirizzo del lavoro per questa giornata, Ryu mi porta con lui ad intervistare un dipendente della ONG. Chiede della situazione lavoratori, numeri, statistiche e di Fukushima. A quanto ho capito, alcuni dei lavoratori di qui vengono mandati nelle zone del disastro nucleare a fare lavori di merda e soprattutto pericolosi per due lire.
La solita storia: uno non ha casa né lavoro e si prostituisce per ogni schifezza di lavoro pur di avere di che mangiare e bere. Tra questi senzatetto-lavoratori saltuari, il più giovane avrà quarant'anni, il più anziano una settantina. Avrò visto un paio di donne in tutto. Credo che quasi nessuno ha (o non ha più) famiglia.
Finita l'intervista al dipendente ONG, ci raggiungono anche RJ e Ma chan, a visitare un'altra ONG che lavora per diritti dei senzatetto. La sede si trova di fronte all'ufficio municipale per il collocamento lavorativo. Mi fanno vedere come gli uffici siano vuoti e le strutture in stato di totale degrado. Nella sede della ONG invece mi fanno parecchie domande sul referendum in Italia, il diritto al voto e lo stato sociale. A quanto ho capito, qui appena perdi la casa perdi subito anche il lavoro e il diritto al voto. Devo controllare. Ma comunque assurdo.
Prossima tappa, un dormitorio poco lontano da quest'ultima ONG. Per la strada più alcolisti che barboni. Il domitorio è simile a quelli che i migranti costruiscono nei cantieri in Cina. Plastica e ferraglia, stanzoni dove passano la notte ammassati decine di senza fissa dimora. Il comune di Osaka paga una cifra considerevole ad un ente privato per gestire il dormitorio. L'ente privato ovviamente si intasca l'intera somma e ne spende un decimo per garantire un minimo di alloggio a chi lì passa la notte. Le solite truffe sociali alle quali siamo ben abituati in Italia. La mattina presto i senzatetto vengono cacciati via e passano la giornata in strada o a cercarsi i lavori di cui sopra. Ryu mi spiega che non hanno molta coscienza politica né voglia di organizzarsi, preferiscono vivere come spiriti liberi, ma sanno far valere quel poco di diritti che hanno quando un sindacato organizza qualche forma di lotta. Anche violenta.
Con i miei nuovi ed inseparabili amici anarco-sindacalisti, prendiamo poi la metropolitana per Tsurubashi. Siamo una manciata di giapponesi over quaranta vestiti di sudore e campanelli, e un muso bianco del tutto spaesato in questo Giappone underground. Sembriamo qualcosa a metà tra l'Armata Brancaleone e il Partito comunista clandestino della Mongolia Inferiore. Un rigurgito di collettivo, insomma.
A Tsurubashi, Osaka sud-est, quartiere coreano, ci aspetta il signor Ji. Ji è un giapponese di origine coreana, che insegna in un'università poco distante. Ci farà da guida nel quartiere coreano, un quartiere antico, dove negli ultimi anni speculazione edilizia e sfratti forzati hanno avuto la meglio. Complice, ai danni dei lavoratori e dei piccoli commercianti coreani, una sorta di disprezzo nei loro confronti dai parte dei giapponesi “puro sangue” e quella specie di razzismo di cui parlavo nel primo post su Osaka. Il quartiere è molto caratteristico, viuzze strette e mercatini all'aperto, odore di carne alla piastra, pesce e kimchi (verza piccante). Ji ci porta anche a visitare un cimitero ed una scuola elementare dove quasi tutti i bambini sono coreani. E continua a raccontarci di intolleranza etnica, ghetti e demolizioni. Finiamo la serata in un ristorante coreano, ad abbuffarci di carne e verdura alla piastra, ingollando birra Asahi e parlottando di politica.
Poco dopo salutiamo il signor Ji e lo ringraziamo per la sua disponibilità. É la mia seconda sera in Giappone e sono davvero stanco morto. In più siamo in piena stagione delle piogge: piove senza sosta e io ho dovuto anche farmi prestare un ombrello di plastica bucato dai miei compagni di viaggio. Pioggia al nucleare, dicono.
Non so come, ma riesco a raggiungere con Vecchio So e Vecchio Punk la loro misera stanzetta e a gettarmi nel sacco a pelo. Non prima però di una doccia, che Vecchio Punk mi obbliga a fare, in un giapponese per una volta fin troppo chiaro.
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