Monday, January 31, 2011

Paura e delirio in tempi di rivoluzione

Commosso di fronte ad una foto che ritrae me stesso: seduto nell'ascensore vestito da cosacco mentre abbraccio l'estintore. Data: non pervenuta. Segni particolari: talmente sbronzo da meritarmi una foto.
Sì. Amo intrattenermi con gente che non conosco. Come questa studentessa africana stasera, comparsa del nulla, immobile in corridoio. “Ehm... vuoi una sedia?” (la prossima volta la sedia so io dove darmela), chiedo, “Dovrei fare una telefonata” risponde, “Prego” cazzo, ci mancherebbe, entri pure, gradisce del té? Due ore a parlarmi del Congo (Congo Brazzaville o Congo Kinshasa? Congo quello con la guerra civile). E' così che amo intrattenermi. Passione anche per le persone che bussano alla porta chiedendoti l'affitto arretrato non pagato con gli interessi.
Per cosa? Per l'arte! Per la bellezza! Per quale altro motivo altrimenti? Per cosa alzarsi la mattina sennò!? La costante rincorsa del bello! Se ricordi tu i volti di tutti quelli che hai baciato!
E di fronte alle immagini di una folla inferocita che assalta il museo egizio mi tornano in mente le parole di Burroughs: “Parole, colori, luci, suoni, pietra, legno, bronzo appartengono all'artista vivente. Appartengono a chiunque sappia usarli. Saccheggiate il Louvre!”. E quel pro memoria del presidente Mao: “La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza!”.

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