La prima volta
La prima volta che persi il ciuccio
Ero a casa e avevo quei tre quattro anni. Forse più forse meno. A casa dei miei c'era gente che sei piccolo e te ne freghi assai di chi sia quella gente. Una festa, forse. Finito di bere e dire cazzate quegli adulti hanno preso la via della porta di casa e poi dell'ascensore. Ricordo che ero in braccio a mio padre. Mio padre accompagnò gli ospiti in ascensore. Fu in ascensore che vidi cadere il mio ciuccio (anche detto "succhiotto") in quel minuscolo spazio nero che passa tra il piano del palazzo e l'ascensore di ferro in sé. Cadde e non dissi nulla. Probabilmente non sapevo neanche parlare. Con me in braccio mio padre accompagnò gli ospiti in ascensore al primo piano per poi risalire. Risaliti guardai in faccia mio padre come a dire "E il mio ciuccio?!". Lui non disse nulla, sorrise. Io reagii come ogni altro bimbo al mondo avrebbe reagito al mio posto: piansi. Ero molto affezionato al mio ciuccio, E non lo vidi mai più.
La prima volta che Pedro mi disse di avere un tumore
Ero a Roma, matricola universitaria in affitto in un appartamento vicino piazza Bologna. Nessun contratto, in casa eravamo una decina di persone in gran parte sudamericani, più una decina di ospiti, quasi tutti sudamericani. C'era un certo Pedro, colombiano, cinquantenne, era sempre in cucina, sposato, molte amanti, gran ballerino, magro, capelli corti e sigaretta. Si chiamava Pedro. Portavo le mie colleghe di università in casa a far finta di studiare. Lui le intratteneva con whisky e ritmi latino-americani. Un giorno l'ho visto in cucina con la solita sigaretta in bocca e il solito bicchiere di whisky. "Tutto ok?" chiedo. "Abbastanza. Ho un tumore" risponde Pedro. "Cazzo!" penso e probabilmente esclamo. "No!" si alza Pedro e mi abbraccia. "Tu sei giovane e non capisci. E' la vita soltanto" mi dice stringendomi tra le sue braccia.
Non ho mai più visto Pedro.
La prima volta che mi è caduta della cenere nella manica del maglione
Ero a Pechino, in una delle tante università. Il dormitorio degli studenti stranieri. Io, un malese, un coreano, un giapponese, un indonesiano. Giù duri a birra discutendo di politica e di sport. Il coreano era appena stato mollato dalla tipa, portò una bottiglia di cognac. Un cognac "made in China", falso come le Converse che indosso. Troppo ubriachi per ammettere il fatto, alzarsi ed andare a dormire. Siamo rimasti lì a consolare il coreano e scolare duri quel cognac di merda fino a tarda notte, fumando come proletari in cassa integrazione. E' stata l'ultima sigaretta, la sua cenere, pendente in cima a due dita traballanti, a cadermi nella manica della maglione. E' successo proprio così. Ho poi rivisto il coreano.
La prima volta che ho incontrato la morte
Questa ve la racconto un'altra volta.
E come dice quella canzone cinese "你突然哭了。哭了的时候笑了[...] 不要忘记我。 我们的生活。这里的生活。离开我"
E' tutto, per stavolta.
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