Tuesday, June 01, 2010

Sulla migrazione come motore di trasformazione economica e sociale

Se c’è una cosa in particolare che amo di questo dottorato di ricerca è che mi ha dato (e continua a darmi) la possibilità di stare a contatto con delle persone (che poi dovrei forse chiamare “oggetto” della mia ricerca) da cui sto imparando tantissimo, imparo cose che poi ritrovo nei libri. E non viceversa. È come se tu avessi delle esperienze e imparassi a vivere prima che te lo insegni tua madre o la maestra. Mi dispiace, non riesco ad esprimerlo meglio.

La migrazione. Quando i media parlano di migrazione a te vengono in mente due cose: le rondini e gli albanesi sul canale di Otranto. Per noi giovani italiani la migrazione sono le prostitute romene sulla tangenziale, i lavavetri polacchi, i marocchini in spiaggia, i nigeriani nei campi di pomodori, le filippine a casa della zia. Per i vecchi italiani la migrazione è il ricordo del nonno giovane su una nave per l’Argentina o gli Stati Uniti. E non so se ridere o piangere. Le migrazioni sono spostamenti di persone, spostamenti vissuti personalmente dai singoli per i più diversi e complessi motivi. La migrazione non se la sono inventata gli italiani nel milleottocento né gli albanesi negli anni novanta: la migrazione è un aspetto essenziale della e nella storia dell’uomo. L’uomo (e prima di lui l’animale) si è sempre spostato. E, anche qui, per motivi e ragioni diverse. Non vedo lo scoop o il terrore che fanno passare nella parola “migrazione”, non vedo lo spauracchio usato da media e partiti xenofobi a caccia di voti.

Vedo invece un mondo che cambia velocemente. E questo anche grazie alla migrazione. Vedo uomini e donne di diversa origine approdare in nuova realtà e portare con loro storie, esperienze, idee, usi, speranze. È grazie a loro che il mondo cambia, va avanti e cambia anche le persone che non si spostano, che non migrano. Leggevo oggi di un rapporto fatto in Cina sulle donne migranti tornate alle campagne dopo anni di vita nelle città. È impressionante come la loro “nuova” presenza modifichi le piccole realtà rurali sotto un’infinità di aspetti. E mi chiedo cosa ci faccio ancora io nelle megalopoli sino-globalizzata che continuiamo a chiamare Pechino.

Pensavo a come vedo cambiare Pechino. Questo blog, nei suoi quasi quattro anni di vita e quasi milleottocento post di cronaca e delirio, non ha mai fatto a meno di fare riferimento a come e quanto rapidamente stia cambiando la Cina (e Pechino in particolare). Ma nei miei primi anni nella capitale la mia attenzione era catturata dai luoghi e dai mille cantieri che incontravi per strada: oggi un palazzo, domani macerie, dopodomani un centro commerciale o un palazzotto dello sport. Così è stato fino alle fine dei giochi olimpici del 2008. Ed è ancora oggi. Ma oggi la mia attenzione è invece catturata dalla gente. Per gente intendo le persone che popolano le strade di questa metropoli. Cambia la gente perché cambiano i vestiti che questa indossa, il taglio dei capelli, il profumo usato, il marchio del cellulare, il salario percepito, le spese quotidiane, il tragitto percorso e il modo di percorrerlo, la lingua che cambia, il tale che ci si ritrova accanto, cambiano i problemi e i modi di risolverli. E via dicendo. Tutto questo cambia la gente e a sua volta è cambiato dalla gente stessa. Credo che ci si senta tutti (stranieri, migranti o pechinesi) dei turisti di passaggio: alieni in questo mostro deforme di grattacieli e attivi creatori di questa Pechino-bambino che vedi crescere giorno per giorno.

Pechino che demolisce i suoi quartieri storici per rimpiazzarli con attrazioni per pubblico pagante. Non credo sia chiaro a nessuno per chi sia tutto questo, chi vi abiti, chi vi lavori, chi sia di passaggio e (nel caso) per quanto. Pechino luogo ameno che incontri la notte in sogno, in una dimensione illusoria e mai umana, come camminare con gambe che non sono proprie, come un rincorrersi senza senso, come globuli rossi sparati in circolo, come domande senza risposta. Ancora più difficile è forse capire quando e perché è cominciato tutto questo. Un po’ come chiedersi se sia nato prima l’uovo o la gallina.

La cosa può affascinante del “potere trasformatore” (neanche fosse un Power Ranger o un supereroe dei cartoni animati giapponesi) della migrazione è che cambia anche il volto e i ruoli dei singoli soggetti protagonisti del processo migratorio stesso. In altre parole, se ieri inglesi e spagnoli al servizio della corona andavano nel nuovo mondo da conquistadores, oggi yankee e venezuelani arrivano in Spagna e Regno Unito ad aprire filiali di multinazionali del petrolio. E in Cina?!

Se ieri i cinesi andavano in Italia a lavorare come bestie in mini laboratori del tessile o ambulanti di strada e gli italiani venivano in Cina come ricchi imprenditori alla conquista dell’oriente o architetti di fama internazionale, oggi i cinesi a Roma si comprano la Lazio e il Colosseo mentre noi neo laureati italiani veniamo a Pechino a fare i portieri vestiti da pinguino nei grattacieli dei miliardari cinesi o babysitter di viziati cinesi nelle famiglie della medio alta borghesia. E mentre uomini d’affari cinesi chiedono di avere escort italiane nei salotti di Milano, puttane russe, mongole, vietnamite e (presto) italiane riempiono hotel e karaoke di Shanghai e Macao. Tutto questo a ricordarci che il mondo non si divide in bianchi e neri ma in ricchi e poveri, dove per ricchi non si intendono quelli grassi di capitale economico ma anche e soprattutto sociale, culturale, di conoscenze e di tutta una serie di cose che non potete mettere nel portafoglio o nel vostro conto in banca.

Detto questo, la morale (di questa che una favola non è) per oggi credo sia … Israele Stato fascista ed assassino!

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