Tuesday, October 17, 2023

Mi sono laureato. Di nuovo. Alcune riflessioni sul percorso universitario.


Lo scorso venerdì pomeriggio, intorno alle 15, ho discusso di fronte ad una commissione di docenti del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Macerata, un intervento da me preparato in tema di Gig-Economy nella Repubblica popolare cinese. Una prospettiva giuridico-economica sul fenomeno del food delivery, con delle riflessioni su analogie e differenze tra Italia e Cina. Il breve intervento, di dieci minuti circa, è valso come prova finale per il conseguimento della laurea triennale in Scienze giuridiche applicate, curricolo in diritto del lavoro. Insomma, mi sono laureato un’altra volta. La prima è stata all’Università La Sapienza di Roma, nel dicembre 2004: laurea in Lingue e civiltà orientali. Poi nel marzo 2007, nello stesso ateneo, laurea magistrale nel medesimo indirizzo. L’ultima, nel giugno del 2011, a Pechino, presso l’Università del popolo: discussione di una tesi di dottorato in sociologia della migrazione. Ho insegnato in università da docente precario, prima in Irlanda, poi nella mia città natale, fino al 2018. In pieno lockdown da pandemia Covid-19, mi ha rapito l’idea di rimettermi a studiare e di farlo in maniera più strutturata, rispetto al semplice leggere scomposto di saggi a caso, così mi sono iscritto di nuovo università a 38 anni suonati.

Non è strano insegnare nell’università dove hai studiato. A me non è capitato, ma comunque è qualcosa di abbastanza comune. Resta forse meno comune iscriverti nell’università dove hai precedentemente insegnato, lavorato, fatto lezioni, ricevuto una retribuzione. A me questo sì è capitato. Cosa? Riprendere in mano la vita universitaria, sapendo di non avere più vent’anni ma quasi il doppio, scegliendo un corso di studi che sia a te in buona parte sconosciuto ma altrettanto attuale, presente, che ti riguardi: il diritto del lavoro. Dove? Nell’università della città dove vivi, così almeno qualche lezione riesci a seguirla, crei un rapporto con i tuoi compagni e compagne di studio, passi in biblioteca, fai due chiacchiere col personale docente nei loro uffici e non attraverso una webcam. Perché? Perché è uno dei modi migliori che conosca per spendere il mio tempo libero. E i miei soldi. Che poi non sono stati tanti, perché le tasse universitarie in questo ateneo sono abbastanza contenute, e come dipendente del Ministero ho qualche agevolazione economica e non solo. Feedback? Decisamente positivo. Ho apprezzato la stragrande maggior parte dei corsi seguiti, dei docenti, delle docenti, dei compagni e delle compagne incontrati lungo questi tre anni. Alcuni esami forse li avrei evitati, altri avrei voluto prepararli meglio, altri ancora avrei preferito ripeterli o approfondirli. Ma è andata bene così, anche nella discussione della prova finale. Emozionante sedersi di fronte alla commissione di laurea con la tua compagna e vostro figlio alle spalle. Emozionante sentirsi proclamare "dottore", ancora una volta e coi capelli ormai bianchi.

Potendo, mi riscriverei di nuovo: a un corso di analisi dei data per le scienze sociali, al dipartimento di Economia. Per fortuna c’è il pianto del nostro neonato a riportarmi alla realtà: la costanza e la programmaticità nello studio non si sposano bene con famiglia e lavoro. Per ora ti saluto, Universitas. Chissà, magari ci si riabbraccia presto…


P.s. Ai compagni e alle compagne di studio, ai docenti e alle docenti incontrate in questi tre anni, alla professoressa relatrice e ai commissari d'esame va il mio sincero ringraziamento e un in bocca al lupo per i percorsi a venire.

II p.s. Credo nelle cose che ho appena scritto. Insomma, sono stato sincero. Ma devo anche aggiungere qualcos’altro:

- innanzitutto, ho notato come il corso di studi da me frequentato non sia metodologicamente così diverso o evoluto da quello intrapreso vent’anni fa come studente fresco fresco di liceo. E questo, a pensarci, non è molto positivo. Il sistema per lo più continua ad essere: scelgono per te la maggior parte delle disciplinare obbligatorie, tu studente segni orari e luoghi delle lezioni, entri in aula, c’è un uomo o una donna tra i quaranta e i settanta anni che parla a ruota libera di argomenti più o meno organizzati e strutturati, ti invita ad approfondire il discorso su manuali cartacei pesanti e costosi, ogni quattro o cinque mesi ti dà la possibilità di discuterli e ti valuterà su quei contenuti. È ancora l’università dei saperi, dei contenuti, delle lezioni frontali, degli esami su quanto sei riuscito a memorizzare e ricordare di determinati contenuti selezionati dal docente. Da insegnante che ha lavorato dieci anni nei licei, sei anni nell’università e saltuariamente in altri istituti, ho una mia idea di didattica che non sto qui a presentare, però provate voi a farvi un’idea su questo sistema di insegnamento universitario e sul "cosa" possa riuscire a produrre;

- seconda questione e chiudo: il rapporto tra percorso universitario e mondo “del dopo” (lavorativo o meno che sia). Cosa accade dopo che uno studente o studentessa, indipendentemente dall’età, ha completato un percorso di studi triennale o magistrale o di master, come appena descritto qui sopra? Ha ottenuto nuove conoscenze e competenze? E come queste ti aprono al mondo là fuori, al mondo post universitario? Il discorso è ampio e complesso ovviamente, ma credo che di questo nessuno si preoccupi molto. Non i docenti, che hanno altro cui pensare (ricerca, pubblicazioni, carriera, posto di lavoro, …); non gli amministratori, che non hanno tempo, voglia o competenze per occuparsene; non gli studenti che, anche se rientra nel loro vivo interesse, non hanno modo di pensare troppo al futuro, non conoscono né il mercato del lavoro né cosa la vita riserverà loro nei prossimi dieci o venti anni. Agli studenti, in estrema sintesi, dicono “Segui questo corso, fai questo esame, ripeti per venti o trenta volte, prendi il titolo e buona fortuna!”, e a quello grossomodo si attengono quasi tutti e quasi tutte, con qualche minore eccezione. Anche su questo credo si debba riflettere un po’. Buona fortuna.

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