A cento giorni dalla tua nascita.
I tuoi primi cento giorni di vita cadono grossomodo sui miei primi quarantuno anni. Ti dispiace se scrivo un paio di cose? Ti dispiace se le legge qualcun altro?
Confermo: è la cosa più bella del mondo. La genitorialità, intendo. Quell'esserino che esce fuori dal corpo della mamma e che da allora è tua completa responsabilità, "your business" per dirla all'inglese. Cambia un po' (un po' tanto) la tua vita. Scontato, certo. Non fai un figlio per continuare la tua vita esattamente come prima. Il nascituro diventa la priorità. Su tutto. Sul lavoro (ci mancherebbe!), le relazioni sociali, gli interessi, i vizi, i problemi, le spese, il tempo libero, il tempo non libero. Non male.
Ho passato gli ultimi cento giorni a cambiarti il pannolone e raccoglierti il ciuccio. E io non ho fatto quasi niente, il grosso se lo accolla tua madre. Non sono molto esperto, ma direi che sei un bravo bambino: dormi spesso, piangi poco. E, se lo fai, o è perché vuoi mangiare, o perché hai una tonnellata di cacca liquida nel pannolino. Facile. Ci farai scontare tutto in adolescenza, immagino, tipo l'eroina a quattordici anni o un tentanto suicidio a quindici. Lavoro a scuola e leggo i giornali: sono pronto a tutto, sulla carta.
Nasce un bambino, si apre un nuovo mondo: non avevo mai ricevuto tante visite a casa, un via vai di amici e parenti che ha lasciato una quantità enorme di regalini per te. Possiamo adottare l'Africa, se ti va. Ma tu non parli, sorridi, dormi, ogni tanto un lamento, più spesso un'unica sillaba: "Leh!". Come il nome di una città nelle montagne dell'India settentrionale, dove siamo stati in viaggio lo scorso anno con tua madre.
Abbiamo un diario digitale dove appuntiamo le tue "prime volte": il primo giorno al mare, la prima volta fuori regione, la prima notte in tenda, il primo vaccino. Ti facciamo anche qualche foto, pochi video. Tranquillo, per lo più non li condividiamo, tanto meno in rete. Un giorno, forse, ti farà piacere leggere queste righe, guardare queste immagini.
Non mi lamento, ma ti confesso che ogni tanto mi mancano alcuni aspetti della vita prima di te. Sì, perché per me esiste l'era a.C. (avanti Cecio) e d.C. (dopo Cecio). Qualcosina dell'era a.C. mi manca, tipo una passeggiata in montagna, una serata con gli amici, un libro da leggere. Eppure tu ci concedi tanto, ci segui ovunque e non ti lamenti quasi mai. Ho anche riscoperto la televisione, a quarant'anni suonati. E' la cloaca massima che ricordavo, che finge di relagare soldi agli spettatori, vende merce inutile, intrattiene con volgarità, riempie film mediocri di pubblicità. Ma se non fosse stato per te, non avrei ripreso in mano un telecomando, e avrei continuato a vivere ignorando dell'esistenza di Attanasio Soldati e dell'astrattismo italiano.
Grazie per sbavarmi le magliette, vomitarmi latte digerito al collo, ruttarmi in faccia e cagarmi liquido marrone sui pantaloni: ora ho una buona scusa per andare in giro sporco e trasandato. Perché un neonato giustifica tutto, la società lo sa e lo accetta. E io vivo meno stressato. Grazie Cecio, felici primi cento giorni di vita.
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