杀马特我爱你 La fine del dottorato. Finalmente.
“Sometimes the only time off was on Sunday, when there was no overtime. Most of the time it was just overtime, every day of the month was busy. How much did you make a month? Just around 120 dollars. I just didn’t want to continue, I said to my cousin: ‘we are both young, aren’t we?’. My cousin had been at the factory for a while, she’d worked 2 or 3 years without leaving the compound, I said: ‘It’s pathetic to spend your youth inside a factory, every year working is a year lost of youth, it’s better to go out and play’”
Da un'intervista a una giovane operaia nella Cina meridionale, tratto da un docu-film sulla cultura underground cinese 杀马特 “SMART”.
Il documentario è intitolato 杀马特我爱你 “We were SMART” (2019), del regista 李一凡 Li Yifan, che termina il video con questa considerazione: “Most of the SMART kids we know are the children of rural factory workers, most were left behind”, dove “left behind” è la traduzione inglese del cinese 留守儿童, termine usato per indicare bambini e bambine lasciati a casa dai genitori migranti, lasciati “indietro” nelle zone rurali cinesi di origine, alla cura di nonne e nonni.
Terminata la visione di questo docu-film, a quasi quattro anni dalla sua realizzazione, avverto una specie di malessere, di malinconia, ma anche un senso di liberazione e una strana sensazione: quella secondo cui la mia breve e forse superficiale esperienza accademica non sia terminata con il contratto universitario nel 2018, bensì oggi, dopo la visione di 杀马特我爱你 “We were SMART”. Il lavoro del regista 李一凡 Li Yifan materializza, ponendovi fine, alle mie curiosità sociologiche, alla mia ex-vita da occidentale in Cina nei panni del ricercatore universitario nel campo degli studi sociali su genere e migrazione. Ho ottenuto il titolo di dottorato in sociologia presso la Renmin University of China nel giugno del 2011, discutendo una tesi intitolata 人口迁移作为女性解放的一种方式?北京市打工妹的“自由”概念, in inglese “Migration as a means to female emancipation? The concept of “freedom” among young migrant women in Beijing”.
Ritengo questo documentario del 2019 il prodotto concreto e mai svolto dal sottoscritto. Certo, un po' diversa è la tematica: Li Yifan indaga su ciò che resta degli 杀马特 "SMART", cultura underground dei giovani proletari cinesi della prima decade del secolo XXI, mentre io provavo a capire che idea di libertà ed emancipazione femminile avessero le 打工妹 giovani lavoratrici migranti cinesi a Pechino, buttandoci dentro un po’ di teoria marxista e un punto di vista straniero, occidentale.
Le ragazze nel film di Li Yifan, campagnole finite nelle fabbriche della provincia meridionale del 广东 Guangdong (fabbrica del mondo, sede del “Made in China” per diversi decenni) non sono così diverse da quelle da me intervistate a Pechino tra il 2009 e il 2011. In primis, le "mie" lavorano nel campo dei servizi (ristorazione, commerciale, industria del sesso, ecc...). Queste forse hanno una visione più critica del lavoro, specie del lavoro in fabbrica e, soprattutto, avvertono il bisogno di un senso di appartenenza e di comunità che mancava a quelle da me registrate. Queste riescono anche a concretizzare questa forma di ribellione e di non-lavoro inventando uno stile contro-modaiolo di capelli colorati e vestiti particolari che ricordano un po’ la nascita del punk tra i giovani proletari occidentali degli anni ’70.
Ho come la liberatoria sensazione che non mi occuperò mai più di “cose cinesi”. Ho la sensazione di aver finalmente concluso un ciclo. Di aver messo la parola “fine” su qualcosa. Di legare le “cose cinesi” a un passato vivo e fondamentale, ma pur sempre passato. Di legare gli studi sulla società cinese a ciò che è stato, a un’esperienza, a un pezzo di vita, a qualcosa di andato, trascorso: come la prima sega, il primo concerto, la prima manganellata in testa, il primo amore, il primo viaggio.
Grazie Li Yifan.
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