Wednesday, October 13, 2021

软实力 Il Soft Power che doveva avere caratteristiche cinesi… è invece coreano.

Soft Power. Ne sento parlare da una quindicina d’anni. Una teoria nel campo delle scienze politiche che da tempo viene usata anche per commentare alcune scelte (politiche, appunto) di Pechino nei confronti del resto del mondo. Ne ho letto un po’ e chiacchierato con i miei studenti e studentesse quando insegnavo nelle università di Cork e di Macerata. Eppure, sosteneva qualcuno già parecchio tempo fa, questo tentativo di Soft Power con caratteristiche cinesi non ha poi avuto nel tempo l’esito sperato: questi cinesi – alla fin fine – continuano a non piacere gran che. Tanti i motivi, che non starò qui a elencare.
Vero, l’interesse per il mondo cinese è crescente. Ma, tutto sommato, non ci hanno ancora comprato, né in Occidente, né nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo. Boom di iscritti ai corsi di lingua e cultura cinese, ma l’opinione dell’italiano medio sulla Cina non è poi così positiva. A distanza di tempo – e ormai in pensione dal mio “mestiere di sinologo” – mi chiedo come mai. Non lo so, non me ne occupo, non studio più né faccio ricerca: ecco come mai. Però qualcosa noto, a partire proprio dai banchi di scuola dove lavoro: le mie alunne e i miei alunni che sono nelle aule dove insegno per sentir parlare e apprendere di Cina, sono spesso innamorate/i di “cose coreane”. Me ne sono accorto già qualche anno fa: c’è stato un periodo in cui sono passati dal chiederti se il sushi o il karate fossero cinesi, a chiederti se il coreano sia simile al cinese o quale sia la tua K-pop band preferita. K-pop che?!
Ho iniziato a studiare il cinese e la Cina a 19 anni, ho vissuto nella Repubblica popolare per quasi 7, da 10 vivo del mestiere di docente di lingua e cultura cinese. Di Corea non so quasi niente, a parte un viaggio fatto nel regime comunista del Nord nel marzo 2009. Come mai ora, anche nella nostra piccola provincia marchigiana, sento parlare per lo più di musica, film e mode coreane? Sono grande abbastanza per capire che nulla accade per caso, quindi devo non essermi accorto che mentre io insegnavo come dire “Scusi prof., posso andare in bagno?” in mandarino, la Corea ha messo il turbo e fregato il Soft Power cinese. E poi, lo ammetto, anche io ho provato a sentire le canzoni di quelle band coreane (ai miei occhi, i Backstreet Boys asiatici del XXI secolo) e film come “Parasite” e “A Taxi Driver”. Anche io amo il kimchi e anche io ho perso la testa per Jung Ho-yeon. Di “Squid Game” ho visto due episodi e mi ha fatto cagare (“Kill Bill” e “Black Mirror” in versione coreana), ma sulle serie tv sono generalmente iper critico e stronzo a priori.
Oggi, infine, ho letto questo. Quindi, evidentemente, non lo penso solo io. Se la Cina è vicina, la Corea ce l’abbiamo già dentro casa.
“Il successo della serie di Netflix ha al contempo portato gli utenti di Weibo a denunciare la scarsa qualità delle serie tv cinesi. Un parere condiviso anche tra i più reticenti a riconoscere l’ottimo risultato dei loro dirimpettai, come dimostra un commento che dice: “Il motivo per cui non sopporto i coreani è che hanno rubato le nostre tradizioni e la nostra cultura, ma devo ammettere che i loro show sono belli da guardare, e decisamente molto meglio dei nostri”. […] “I drama cinesi trattano di complotti reali, viaggi nel tempo, amori liceali o storie di lotta anti-giapponese – riassume un utente- non penso che questi temi interessino agli stranieri. Anche perché le serie sono fatte male”. Un altro conferma: “Persino le serie tv più semplici fanno pena e sono inguardabili”. E ancora: “Dopo aver visto diversi k-drama non riesco più a guardare serie locali, la trama fa schifo e la recitazione è spazzatura”. […] Moltissimi utenti si sono trovati d’accordo nell’imputare tale mediocrità alle restrizioni vigenti in Cina nel settore dell’intrattenimento. “Se non ci lasciano filmare, non c’è molto che possiamo esportare” afferma lapidario un utente. “Anche noi avremmo degli ottimi attori, ma ci sono cose che non ci è concesso filmare”, gli dà corda un secondo. A riprova della dinamicità dei social network cinesi, dove nonostante la supervisione statale il dibattito non è mai completamente acritico nei confronti delle regolamentazioni imposte dall’alto, la conversazione attorno a Squid Game su Weibo ha palesato lo sconforto di molti utenti nei confronti delle recenti misure ai danni dello showbusiness, con le quali Pechino sta provando a creare un ambiente “sano e armonioso”. “È davvero difficile pensare di esportare buoni prodotti culturali all’estero nel clima corrente in Cina”, dice un utente.”
Fonte:
"Squid Game: la Cina guarda, commenta e un po’ invidia"

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