Venti anni fa, fine di un'adolescenza: del mio anti-G8 a Genova.
Lungi dal voler sbrodolare un semplice e arido pippone targato "c'ero anch'io", provo qui a ricordare e condividere la mia infinitesimale e umile esperienza di quella che fu la manifestazione di contestazione al G8 di Genova del 21 luglio 2001. Salto volutamente ogni contestualizzazione o introduzione al tema, evito altrettanto volutamente ogni analisi o post-analisi politica. Carico l'ego e mi limito a elencare le personalissime memorie di quel giorno e di quelli precedenti.
Avevo 18 anni e da poco avevo terminato gli studi al liceo scientifico di Macerata. Lavoravo per un'azienda agricola locale, otto ore al giorno per i campi di basilico a strappare erbacce sotto il sole cocente. Ci consolava il canto delle ragazze e il vino bianco freddo delle vergare (le anziane e sagge donne contadine). A 18 anni bruciare di rabbia contro l'ingiustizia sociale è doverosa ovvietà. O almeno così credevo. Alla contestazione dei "grandi" otto del pianeta Terra non potevo mancare. Prima c’erano stati gli scontri a Seattle contro l'Organizzazione mondiale del commercio nel 1999, gli scontri a Napoli nel marzo 2001 in occasione del Global forum e la polizia che sparò sui manifestanti al vertice UE di Göteborg nel giugno dello stesso anno. A maggio, durante una manifestazione antifascista nella mia città, la celere di Bologna mi fece assaporare per la prima volta il manganello e feci esperienza delle cosiddette "cariche di alleggerimento" per il viale lungo le mura. Non avevo mai visto (né tanto meno subito) scene del genere, se non in televisione. La sera, durante una rappresentazione teatrale del nostro liceo, recitai con un bernoccolo in testa, testimonianza diretta del manganello poliziesco. Imparai che di fronte a un uomo in divisa con casco, scudo e manganello le tue possibilità di comunicazione o di resistenza sono in effetti poche.
Il 20 luglio, durante gli scontri a Piazza Alimonda, un carabiniere ausiliario 20enne sparò a un ragazzo 23enne, Carlo Giuliani, uccidendolo sul colpo. Non oso ancora immaginare cosa significhi per un genitore sapere che tuo figlio sta per partecipare a una enorme manifestazione all'indomani dell'omicidio di un manifestante. Avevo 18 anni e non mi feci troppe domande, la sera mi presentai alla stazione di Civitanova Marche e presi il treno organizzato da Rifondazione comunista per il capoluogo ligure. Una mia compagna di classe, tempo prima, si era raccomandata: "Dani, se vai a Genova sfila coi pacifisti".
Partii con un amico. Altri conoscenti e militanti maceratesi erano partiti uno o due giorni prima. Io e il mio amico lavoravamo nei campi e non potevamo partire prima. Ricordo che la notte in treno dormimmo poco e che arrivammo la mattina presto nel clima surreale di una Genova vuota, sbarrata, militarizzata. A 18 anni mi dichiaravo anarchico e avevo un debole per la cultura punk. Capitalismo, fascismo, razzismo, globalizzazione, guerre, eserciti, imperialismo, banche, religione, patriarcato, tradizione... questi alcuni dei miei nemici. Non ne sapevo molto di politica, ma i partiti non mi convincevano e mi bastava quel poco che avevo letto di Bakunin, Kropotkin e Malatesta, quel poco che avevo sentito al liceo o al centro sociale.
A Genova mi presentai con una maglia nera e l'A cerchiata rossa. Non fu una mossa intelligente. Il giorno prima gli anarchici accorsi da mezza Europa avevano devastato e saccheggiato diverse zone della città, con episodi di violenza che avevano attirato l'odio di buona parte della locale cittadinanza e il disprezzo di molti altri manifestanti. Ricordo che col mio amico passammo di fianco a un campo da calcetto dove erano accampati manifestanti no-global. Quando videro la mia maglietta si alzarono in piedi, coprendoci di insulti e tirandoci lattine di birra. Finalmente arrivammo allo stadio Carlini, dove era presente gran parte della "disobbedienza" militante, attivisti dei centri sociali per lo più. Riuscimmo a beccare alcuni conoscenti, ricordo che presero il mio zaino, divorando i panini e scolando tutta l'acqua. La situazione era tesissima, non potevano neanche uscire alla ricerca di cibo e bevande perché tutte i negozi erano chiusi e le forze dell'ordine in agguato.Avevano ucciso un 23enne il giorno prima e gliela avrebbero fatta pagare. Uscimmo un paio d'ore dopo dallo stadio per iniziare la manifestazione del Genoa Social Forum, in tanti e tante gridavano "Pagherete caro, pagherete tutto!". Non poteva finire bene. Chilometri di strada più tardi, il lungo serpentone umano raggiunse la zona del porto. Credo fossimo in 300.000 persone o giù di lì. Militanti delle associazioni, rappresentanti dei partiti, attivisti dei centri sociali, comunisti, socialisti, anarchici, autonomi, tute bianche, ambientalisti, artisti, musicisti, cattolici, boy scout, preti, pacifisti, agricoltori, operai, studenti, migranti... c'era un po' di tutto, eravamo tanti davvero e differenti nelle varie posizioni politico-ideologiche. Ma in quei giorni si era tutti e tutte lì, a gridare che un altro mondo era possibile e che "Voi G8, noi 6 miliardi".
Com'era inevitabile, nonostante i cordoni per isolare le frange più radicali e violente (quelli che i media chiamarono erroneamente "black bloc"), iniziarono gli attacchi ai simboli del capitale globale: banche, multinazionali, poste, fast food, pompe di benzina, edifici sede di istituzioni. Non avevo mai visto vetrine andare in frantumi, negozi in fiamme, auto esplodere, saccheggi. Gli autori erano giovani, avevano il volto coperto, molti vestivano di nero, sentivo parlare lingue e dialetti diversi: tedesco, inglese, francese, spagnolo, greco, milanese, romano, campano. Non sembravano molto organizzati, ma quelli che prendevano parte alle azioni più eclatanti e devastanti sembravano sapere cosa stessero facendo e come muoversi.
Il caldo sole di luglio, la rabbiosa devastazione attorno a me. Il serpentone incontrò schiere di uomini in divisa, inevitabile fu lo scontro. Il corteo si spezzò, in parte proseguendo, in parte attaccando la cosiddetta "zona rossa", in parte in un fuggi fuggi generale. Persi i pochi conoscenti coi quali marciavo, ma restai sempre col mio amico maceratese. Ci ritrovammo in testa a quel che restava del corteo, di fronte a noi, a un centinaio di metri, gli sbirri in assetto antisommossa. Difficile descrivere lo scenario, difficile spiegare quelle sensazioni, difficile farlo a 18 anni, ancora più difficile a venti anni di distanza. Partirono sassaiole contro la polizia, auto e cassonetti in fiamme, barricate e giovani con fionde e molotov. E tu lì in mezzo, in un film che non stai guardando alla televisione. Grida, urla, elicotteri sopra la testa, violenti rumori e quel puzzo insostenibile dato dei gas lacrimogeni sparati dagli agenti in divisa. Piovevano dall'alto e cadevano accanto a noi. Alcuni manifestanti avevano dei caschi, altri (come me) non avevano mai visto quelle lattine fumose cadere a grande violenza dal cielo. Vidi per la prima volta teste aperte dalla violenza delle lattine di gas lacrimogeno, sangue sui volti dei manifestanti. Uomini e donne con le divise della croce rossa assistere e curare i feriti. Come in guerra. Giornalisti in prima fila a fotografare e filmare. E l'odore irrespirabile del gas, bruciava occhi e gola, sembrava di soffocare nella cecità. Qualcuno ti gettava in faccia acqua o limone, ma il fastidio era davvero massimo e la cieca fuga l'unica soluzione. Ricordo quegli attimi, quelle immagini. Ricordo l'immagine nella foto che trovate in cima a questo post, pubblicata il giorno dopo in un giornale nazionale. Ricordo di averla vista dal vivo.
Difficile dire quanto tempo durò tutto questo. Quando arrivarono le cariche della polizia scappammo via. Ricordo grandi strade e viuzze laterali, macchine in sosta e cassonetti dati alle fiamme. Ricordo alcune vie chiuse da plotoni di uomini in divisa e armati. Ricordo una fuga senza meta, assieme a qualche altro disperato come noi. Su e giù per le colline urbane genovesi. Nel luglio 2001 non avevo un telefono cellulare. Anzi, non ce lo aveva quasi nessuno. Quindi non avevi internet in tasca, né social per orientarti in città, tantomeno in una città tanto grande e sconosciuta come Genova. Scappavamo persi nelle strade, cercando di stare alla larga da gas lacrimogeni e cariche degli sbirri. Chiedevamo acqua alla poche persone che erano alle finestre. Cercavamo di capire cosa fare, dove andare. Ricordo benissimo che ci fermammo in una piccola piazzola in discesa, a pisciare tra due auto in sosta. Quando ci girammo, notammo due ragazze punk che urinavano accovacciate dietro di noi. Sorridevano divertite, parlavano in tedesco, forse. Più tardi raggiungemmo una stazione dei treni (Genova Brignole, credo), dove ricordo uno schieramento impressionate di uomini in divisa che cantavano "Uno di meno!", con riferimento all'omicidio di Carlo. Riuscimmo a entrare in stazione e assaltare un treno per le Marche. In serata, a Genova, le forze dell'ordine massacrarono di botte attivisti e attiviste rimasti a dormire nelle scuole Diaz-Pertini e Pascoli, con una violenza e una illegalità che non dovrebbero appartenere a uno Stato di diritto. Di questo, e di tanto altro, si parlò per settimane e mesi nei giornali e nei media nazionali e internazionali. Per pura fortuna (e l'ingenuità tipica di un 18enne) io e tanti altri non subimmo la stessa sorte dei massacrati dalle divise blu.
La mia testimonianza e i miei ricordi terminano qui.
"Carlo vive!" trovo ancora scritto nei muri delle città. A 38 anni, tra mille compromessi e contraddizioni, mi definisco ancora anarchico. E si tranquillizzino i potenti della Terra: vi odio ancora.
Uscir di casa a vent'anni è quasi un obbligo, quasi un dovere,
Piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere,
La grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza,
Sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza.
Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione,
Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione.
Francesco Guccini - "Piazza Alimonda"
p.s. Tra il tanto e vario materiale scritto, audio e video che è possibile trovare in questi giorni in rete, consiglio l'ascolto del podcast "Limoni" su Internazionale, della giornalista Annalisa Camilli: https://www.internazionale.it/notizie/2021/06/10/limoni-podcast-g8-genova
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