Diario di un prof.: il (mio) gap generazionale.
Giorni fa ho notato una frase scritta nel profilo di un mio studente, una frase (credo) abbastanza rappresentativa del periodo culturale che la sua generazione vive: "get rich or die tryin'", ovvero "diventa ricco o muori provandoci".
Per un/una docente, confrontarsi con i propri studenti e le proprie studentesse a proposito del mondo che vivono, alla perenne scoperta di quel "che cosa si saranno inventati ultimamente?" o "da che parte tira il vento?" è all'ordine del giorno e, personalmente, dedico una robusta dose del tempo che passiamo assieme a questo tipo di attività. È semplice: se non so chi ho davanti, a chi cazzo parlo?!
Quando ho iniziato a insegnare al liceo, nel settembre del lontanissimo 2013, avevo 31 anni appena compiuti e la distanza tra me e alunni/e non si faceva sentire così tanto, forse perché erano loro a non farmela sentire, per lo meno in relazione a colleghi/e di 50 o 60 anni. D'altronde, io non facevo molto per sembrare più adulto di quanto fossi per l'anagrafe: orecchini, barba incolta, jeans sdruciti, zaino Seven in spalla, felpe scure e scarpe Converse. Però i valori culturali di riferimento erano e sono decisamente distanti, e me ne rendo conto soprattutto adesso.
A 16 o 17 anni per me (e per molti come me), nelle aule scolastiche così come fuori da esse, in piazza o ai giardini, al cinema come in sala giochi, oltre al calcio e al motorino, alle tipe e alla fretta di diventare grandi, c'era soprattutto la voglia di ribellione, di trasgressione, di disobbedienza. Non in nome di qualche ideologia fallita, ma più desiderio di libertà e di abbandono del nido materno. La libertà non aveva prezzo, quindi non era una questione di soldi. Volevamo spazi di evasione e tempi per noi stessi, non i soldi per comprarli. O, per lo meno, così mi pare di ricordare. Anni più tardi, in pieno ambiente universitario dalle connotazioni decisamente più politiche e anarco-libertarie, il motto non sarebbe mai stato "get rich or die tryin'", casomai un grido punk del tipo "vivi al massimo e muori giovane", un rivoluzionario "camminare sulle teste dei re" o un nichilista "farmi crescere la barba e dormire sulle panchine, questo voglio fare da grande".
Per fortuna o purtroppo, con gli anni passano anche le idee, le mode, gli usi, i sistemi di valori. E, con essi, cambiano le culture.
Né nostalgia, né rabbia. Né malinconia, né commiserazione. Nessun giudizio, superflua forse anche ogni analisi. Al massimo, come probabilmente qualche sessantottino o settantasettino avrebbe fatto con noi negli anni '90, un pacca sulle spalle alla nuova generazione. E un tenero: "Buona fortuna".
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