Monday, October 28, 2019

Macerata-Budapest. Passando per Ljubljana e tornando per Trieste.


Giorno uno. Partenza in pullman di domenica sera. Emozionante come portare i tuoi alunni dove portarono te in gita di quinta superiore. Nonostante le lunghissime ore in autostrada, passate tutto sommato in maniera più che piacevole tra letture, video, musica, due chiacchiere con le colleghe e la compagnia sempre originale degli studenti e delle studentesse. A Ljubljana per la quarta volta. Credo sia la capitale europea dove sono stato più volte dopo Roma. Gradevole il centro storico, il lungo fiume e la camminata per raggiungere il castello, aiutati  da un cielo azzurro e un sole che non ci ha mai abbandonati durante tutti i sei giorni di viaggio. Ljubljana capitale verde d'Europa, qui la differenziata funziona bene e riescono a riciclare quasi il 90% dei rifiuti. La fissazione per la pista ciclabile e i ciclisti che ti mandano a quel paese spesso e volentieri. Il poeta romantico France Prešeren. Impressionato nel vedere una lunga carovana di bambini e bambine di una scuola materna, ordinatissimi e in rigorosa fila per due, tutte e tutti rigorosamente bianchi e biondi. Una scena che in Italia neanche negli anni sessanta. "Quelli che avete voi, i vu cumprà, da noi non esistono. Tuttavia abbiamo qualche nero e qualche musulmano", puntualizza la guida slovena. Non l'avrei mai detto, penso. Albergo più che decente nella campagna fuori Ljubljana.
Giorno due. Quasi sei ore di pullman fino a Budapest, costeggiando il grande Lago Balaton, parlando al microfono di quel 23 ottobre 1956 e della insurrezione ungherese anti sovietica, soppressa nel sangue con quasi 3000 vittime. Siamo in Europa ma usano il fiorino e non l'euro. Cioè, nelle zone turistiche accettano l'euro ma ti danno il resto in fiorini, secondo il loro cambio per noi oltremodo sconveniente. L'ungherese non è lingua indoeuropea e suona come il finlandese. "Grazie" si dice "kossonom", con le "o" chiuse. Il poeta e patriota Sándor Petőfi. Gli italiani Angelo Rotta e Giorgio Perlasca, che a Budapest salvarono la vita a migliaia di ebrei durante l'occupazione nazista. La birra Dreher. L'amaro Unicum. La grappa alla prugna e quella all'albicocca. Il vino Tokaj. Il fascino del Danubio e dei palazzi, dalla collinare Buda e dalla pianeggiante Pest, che in esso si affacciano. Come il fascino tra lo zingaro e il sovietico della periferia est della città. La pasticceria di Sissi (Elisabetta d'Austria, uccisa a sessant'anni a Ginevra dall'anarchico italiano Luigi Lucheni) e i cioccolatini con il cognac dentro, stile Mon Chéri. Il palazzo di Sissi, fuori città, dove ammirare l'autunno di foglie rosse, ghiande e castagne. Gli Unni di Attila. István (Santo Stefano), primo re d'Ungheria. Il belvedere e le statue in metallo del realismo socialista. L'enorme parlamento. La chiesa di San Mattia.  Il Palazzo reale. Sul Danubio col battello, il pomeriggio così come di sera. Le nostre guide, donne sulla cinquantina, molte brave e dall'ottimo italiano. Sorpreso dal loro nazionalismo e varie riflessioni sul concetto di "narrazione storica". Specie in affermazioni del tipo: "Come Hitler, però Stalin era russo" o "Noi ungheresi cattolici come voi italiani". Il paragonare i nazisti ai comunisti, l'odiare i tedeschi come i russi. La paura dei neri. L'assenza apparente di immigrati. Xenofobia, più che razzismo.  Dacci oggi la nostra zuppa quotidiana. L'ottimo ristorante di Buda e quel "C'è un po' di bagno in questa fila" che lamentavano le alunne alla toilet. "Finalmente qui parlano una lingua potabile", ribatteva altrove qualcuno. Lo shopping nelle vie del centro. L'incontro con due carissimi amici maceratesi che vivono nella capitale ungherese. La serata per bar nei pressi della grande ruota panoramica. E quell'albergo di Zuglo, nella periferia di Pest. Una sporcizia difficilmente ricordata altrove e comunque mai in un paese europeo. La totale mancanza di collaborazione e di empatia da parte del personale dell'albergo, dove nessuno parla inglese e dove l'ospite è visto come un nemico da maltrattare e cacciare via nel più breve tempo possibile. L'eroica resistenza e comprensione dei nostri alunni e delle nostre alunne. Onore!
Giorno cinque. Nuove lunghe ore di pullman in direzione Trieste e sosta nella placida e verde campagna slovena per una sosta pranzo. Gli alunni fastidiosamente sempre più puntuali dei docenti. L'arrivo, al tramonto, nell'aristocratico e a suo modo romantico capoluogo friulano. Selfie a rotta di collo, aperitivo e rapido shopping ossessivo convulsivo prima del meritato riposo in albergo. Fuori città, non lontano dalla Risiera di San Sabba, unico lager nazista in Italia.
Giorno sei. Incontro con le guide e anche qui narrazioni di ordine storico-sociale più che discutibili. Non sapevo che Trieste fosse tornata sotto l'amministrazione civile italiana solo nel 1954, per tornare ad essere effettivamente città italiana solamente nel 1975 con il Trattato di Osimo. Viaggiando si impara. Viaggiare è la miglior forma di apprendimento. Il quartiere ebraico. La città vecchia. Il teatro romano. L'Arco di Riccardo. La chiesa di San Giusto. La chiesa ortodossa. I palazzi del potere, i palazzi delle assicurazioni, i palazzi delle banche. Il Canal grande. Il Teatro Verdi. Le vie di Italo Svevo. Le vie di James Joyce. La libreria di Umberto Saba. Il museo di arte orientale. Le targhe degli ebrei deportati nei lager nazisti e la lamentela di un anziano signore di passaggio perché "Anche noi siamo stati perseguitati, non solo gli ebrei. Ma gli ebrei hanno i soldi, quindi...". Città di destra, immagino. Di sicuro di destra è la tifoseria calcistica della Triestina, gemellata da tempo con gli ultras dell'Hellas Verona e con quelli della Lazio. E allora le foibe. Credo tuttavia che Trieste abbia un po' stregato alunni ed alunne, credo che qualcuno avrà fatto un mezzo pensierino per venire a proseguire gli studi universitari qui. Comunque tutti/e sul pullman, alle tre precise si parte. Autostrade italiane, senza paura. Una sosta per la pipì a Rovigo, una sosta per la cena a Rimini. Alle 22.30 facciamo il nostro ingresso a Macerata. Saluti e abbracci, qualche lacrima. Per stavolta l'avventura termina qui. Bravissimi tutti, bravissime tutte. Ad maiora

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