Strade di Persia: cronaca di un breve soggiorno in Iran (I).
Passerà alla (mia) storia come il viaggio meno organizzato della (mia) storia. Un volo a 320 euro a/r da Fiumicino a Teheran prenotato settimane fa, uno zaino riempito due ore prima di partire. Male. Anzi, malissimo. Sarà l'età, saranno le vacanze. Chiamiamola pigrizia. Il viaggio meno organizzato della (mia) storia.
L'autostrada alle prime luci dell'alba, il mal di testa, l'auto abbandonata all'idroscalo di Fiumicino. In quelle zingaropoli dove Casa Pound prende il 74% dei voti e le mafie locali il restante percento.
La compagnia aerea è l'Ukraine International Airlines, lo scalo a Kiev, le ore per Teheran sette. Compagno di viaggio, inutile dirlo, C.
Cosa sapete voi dell'Iran? Ecco, neanche io. Per fortuna a Teheran c'è A., ex coinquilino di amici a Milano. A. è iraniano e ci ha fatto da balia per i successivi otto giorni, notti incluse. Sull'importanza degli ex coinquilini di amici a Milano.
In aeroporto la procedura per ottenere il visto fila liscia. Basta sborsare 75 euro in contanti e compilare un modulo on-line almeno 48 ore prima della partenza. E' l'una di notte e fuori dall'aeroporto veniamo subito bloccati dal classico pseudo-tassista di mezz'età, basso e brizzolato, senza un incisivo inferiore, sposato due volte, vari figli e nipoti, una smoderata passione per la musica tecno iraniana. "Siete sposati?", ci fa. Giusto la forza di scuotere la testa. "Male. Da vecchi poi le mogli costano di più". Neanche la forza di mandarlo a fanculo. Per 20 euro ci scarrozza per i 53 chilometri che ci separano da casa di A., non lontano dal centro di Teheran. La tecno iraniana sparata a tutto.
Il giorno dopo prendiamo assieme ad A. e ai suoi amici un pullman per Esfahan, antica capitale persiana. Una loro amica si sposa. Anche lei parla italiano. Non devono essere pochi gli iraniani in Italia. Anche qui in Iran troviamo molti turisti italiani. Il cielo a Teheran è azzurro, l'aria fredda ma non troppo. Il puzzo di inquinamento è fastidioso, sembra quello di Pechino. A guardarla bene, questa Teheran sembra proprio la Pechino che conobbi la prima volta, nel febbraio 2004. Enorme, ordinata nel suo disordine, decisamente più pulita di qualsiasi grande città italiana. E la gente, cordiale e dignitosa, per quanto l'inglese siano in pochi a parlarlo. I sedili nel pullman sono larghi e comodi, il biglietto costa circa 7 euro per sei ore di viaggio nel deserto. Un deserto roccioso, dove scorgi qua e là all'orizzonte nude montagne a intermittenza. L'Iran è per gran parte desertico. L'Iran è grande cinque volte l'Italia. La sua popolazione conta quasi 80 milioni di persone, in massima parte musulmani sciiti. L'odio è tutto per Israele e gli Stati Uniti, la solidarietà per la Palestina. Non grande simpatia per gli altri paesi islamici, che sono a maggioranza sunnita. Se nel tuo passaporto compare un visto di Israele non ti lasciano entrare in Iran. Il mio visto di Israele è nel vecchio passaporto. Anche stavolta è andata bene.
I discendenti dei discendenti di Ciro, di Serse, di Dario. Di quei Persiani che fecero guerre su guerre con i Greci, i primi incontri e scontri tra Occidente e Oriente. Alessandro Magno incendiò Persepoli nella primavera del 330 a.C. Così, tanto per capirci.
Il gelato va per la maggiore. Anche e soprattutto d'inverno. Così come le spremute di frutta: melograno, mela, mandarino. "Uva" si dice angur. E poi c'è un dolce, il gaz, una specie di torrone molto più buono di ogni torrone mangiato in Italia. "Grazie" si dice mersi. E sì, suona proprio francese. "Ciao" è il classico salam.
Il problema (se proprio dobbiamo trovarne uno) è la lingua. Il farsi non è neanche simile all'arabo, sembra vicino al turco, comunque incomprensibile sia nello scritto che nel parlato. Per me, suona come una via di mezzo tra il finlandese e il tagiko parlato da ex compagni di studio a Pechino. Non riusciamo a capire neanche i numeri per regolarci coi prezzi o prendere un bus. Provare per credere:
۰ ۱ ۲ ۳ ۴ ۵ ۶ ۷ ۸ ۹
(i numeri da 0 a 9 in farsi)
Il viaggio per Esfahan vola via facile tra letture, chiacchierate e lo sguardo fuori dal finestrino.
"Quale padre ci darebbe in sposa la figlia?" resta un mistero, ma per ora va bene così.
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