Reisefieber, la febbre del viaggio...
Lasciato dunque il sud-est asiatico. Il viaggio però non termina qui. Sarebbe stato troppo facile e costoso prendere un Bangkok-Roma. No. Ho optato invece per un Bangkok-Oslo (12 ore e mezzo di volo!), scalo di 14 ore e poi volo per Roma. D'altronde, in Norvegia non sono mai stato. Non sapevo però che la Norwegian fosse una compagnia aerea a basso costo e ci han fatto praticamente morire di fame durante il lungo tragitto. Se vuoi mangiare paghi. E io non ho mangiato. In quasi 13 ore di volo ci han servito solo una piccola cena e una brioche salata con caffè per colazione. Mai più.
Dall'aereo lo spettacolo del Mar Caspio. Poi l'arrivo a Gardermoen, aeroporto internazionale di Oslo. Ci sono diversi modi per giungere in città: il treno diretto costa circa 18 euro e impiega 30 minuti; in bus sono 15 euro per 45 minuti; il treno regionale impiega invece 30 minuti e costa un po' meno, 9 euro circa. A me è andata di lusso: il controllore si è sbagliato a scrivere l'ora nel mio biglietto, che ho così utilizzato anche al ritorno. I soldi risparmiati li ho spesi tutti nel primo supermercato in pane, sardine e birra. La stazione di Oslo è in pieno centro, di fronte hai un fiordo che molto più a sud porta al grande Mare del Nord. Sono passato dai 35 gradi di Bangkok ai 18 di Oslo in meno di 24 ore; oltretutto piove e fra poco farà buio. Zaino in spalla, cerco di girarmi a piedi la zona portuale, la città vecchia, il centro fastidiosamente commerciale e un quartiere multi-etnico, pieno di africani ed asiatici. Sembra un po' Londra o Parigi, i Vichinghi sono andati via da un pezzo e qui convivono (più che bene, direi) donne e uomini di origine etnica tra le più disparate. Non ho notato negozi di cinesi, ma moltissime attività commerciali (café e kebab compresi) di arabi e musulmani. Li sento parlare nella lingua del posto, li diresti ben integrati con gli autoctoni. Li vedo addetti alla pulizia delle strade, dare indicazioni alla biglietteria della stazione, una donna di colore guidare un autobus di linea. Migranti, o figli di migranti. Stranieri. Gli stessi che Anders Breivik doveva odiare tanto.
Oslo mi appare fredda, alcune strade deserte e troppo silenziose, molti cantieri e lavori in corso, le acque del fiordo grigie, solo il tramonto riesce a regalarmi qualche emozione. Noto molti turisti parlare spagnolo, infreddoliti nei loro piumoni manco fossimo al Polo Nord. Beh, da qui in effetti il Polo Nord non è poi così lontano. Se qui fanno 18 gradi a fine agosto, non oso pensare cosa faccia a fine gennaio. Il norvegese sembra la lingua delle balene, per fortuna tutti parlano inglese abbastanza bene e la gente sembra cortese. Nessuna noia, poca polizia in giro. I tetti alti e a punta, i velieri al porto, le mura della città vecchia, una A cerchiata sulla vetrina di un supermercato. Fuori dalla stazione alcuni uomini seduti a terra si passano la bottiglia e discutono animatamente, dei rom mangiano e chiedono l'elemosina, dei ragazzi coi capelli colorati siedono sugli skate. Potrebbe essere la stazione di Bergamo, di Amsterdam, di Novi Sad. Giri il mondo, ma alcune scene sono sempre le stesse. Meglio così, mi sento più a casa.
Mi aspettavo di trovare la tipica città da paese nordico ricco e all'avanguardia, una specie di Svizzera della Scandinavia, invece ho trovato un porto silenzioso ed ordinato, un po' sporco e malmesso qua e là, cui la Natura concede solo poche ore di luce durante l'anno.
Il silenzio è rotto per lo più dai gabbiani. Credo che non si possa guardare al celebre "L'urlo" di Munch se non si è prima visitato questi luoghi. Se passi di qua, vedi che un urlo dentro sei capace di crearlo anche tu.
E' notte. Riprendo il treno per l'aeroporto, dove passerò la notte. Siamo davvero agli sgoccioli, domattina un aereo mi porterà a Roma, da lì un pullman mi lascerà alla stazione di Macerata.
27 luglio - 27 agosto: un mese esatto di viaggio. Una trentina di ore di volo, oltre 3.000 chilometri percorsi via terra. Piacere inaudito. Per ora basta però, si torna a casa.
Sì, è più bello viaggiare se hai anche un posto dove tornare. Come nell'ultimo verso di una poesia cinese scritta più di mille anni fa: "qualsiasi tempo faccia, io voglio stare qua".
postscriptum: il giorno dopo nel volo per Roma ho trovato uomini e donne norvegesi sui cinquanta anni, che ad una prima osservazione non diresti turisti. E cosa vanno a fare allora in Italia? I pendolari? Magari mi sbaglio... Guardo la signora grande e bionda di fianco a me, legge di sport da un giornale norvegese, ha delle belle mani e un simpatico sorriso. Poi guardo alla mia destra, oltre il finestrino. Sotto ci sono le Alpi, poi la grande pianura del fiume Po, ecco lì l'Appennino e alla sua sinistra le Marche, la terra che sento mia più delle altre. Facciamo però prima scalo a Roma, la città eterna. Penso che l'Italia sia bellissima anche dall'aereo. E penso al prossimo viaggio.
postscriptum II: dall'aeroporto di Oslo all'uscita da Fiumicino nessuno mi ha controllato il passaporto. Credo sia la prima volta che mi succede.
postscriptum III: all'aeroporto di Oslo hanno uno strano modo di fare il check-in... Prima devi fare la fila davanti ad una macchinetta che, se riconosce il tuo numero di prenotazione volo, ti dà un foglietto col quale imbarcare il tuo bagaglio in un check-in senza personale, per poi dirigerti al "gate" per i controlli e l'imbarco; in caso contrario, devi fare la fila per il check-in con il personale e seguire la procedura tradizionale. Non capisco molto il senso di questa cosa, non credo risparmi tempo o file e non credo neanche si risparmi sul personale. Ma il marketing non è il mio forte e quasi sicuramente mi sbaglio.
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