Monday, February 10, 2014

10 febbraio: un'altra ottima occasione per ricordare che la guerra è merda.


"Nel censimento austriaco del 1910 i cittadini autodichiaratisi di nazionalità italiana risultavano essere circa il 20% della popolazione della multietnica Istria, da Koper a Rijeka. La maggioranza della popolazione si autoidentificava come croata. Quattro anni dopo scoppiò la Prima guerra mondiale; nel 1920, a seguito dell'entrata in guerra al fianco di Inghilterra e Francia, l'Italia ottenne come bottino di guerra l'Istria e la città di Zadar, e tre anni dopo Mussolini strappò a re Pietro di Serbia la contesa città di Rijeka.
Nel 1921, intanto, si era tenuto il primo censimento del Regno d'Italia in quei territori di confine. La popolazione di nazionalità italiana in Istria risultava più che raddoppiata nel giro di soli 11 anni, arrivando all'incirca al 45% e andando a comporre la maggioranza relativa della popolazione istriana. Nel censimento mussoliniano del 1931 si attestava al 65%.
Quali avrebbero potuto esserne le ragioni?
Essenzialmente tre.
Innanzitutto i dati vennero falsati già nel 1921, a dimostrazione di come le mire imperialiste italiane sull'Istria avessero già trovato attuazione prima di Mussolini e del fascismo. Che il censimento del Regno del 1921 sia da considerare inaffidabile è un dato di fatto conclamato, tanto che il punto di partenza storico per analizzare la questione giuliana sulla base dei censimenti è sempre, puntualmente, il censimento austriaco del 1910.
In secondo luogo si assistette a una massiccia emigrazione di italiani dal resto del Regno, già immediatamente dopo la fine della Prima guerra mondiale, nella prospettiva che i territori ex austroungarici in questione sarebbero andati all'Italia. I territori di maggiore provenienza furono il vicino Veneto e la Puglia. Braccianti agricoli, spostandosi nei territori reclamati come "irredenti", avrebbero trovato ad aspettarli posti da maestri e impiegati delle poste e del catasto. L'intento di creazione, dal nulla, di una borghesia burocratica italiana dimostra l'intenzione di nazionalizzare territori in cui la popolazione italiana era una semplice minoranza.
Infine, e questo è l'argomento più importante al riguardo, specialmente dal censimento del 1931 non conveniva più alla popolazione croata e slovena dichiararsi tale.
Con la legge 2185 del 1° ottobre 1923 (ovvero la definitiva sistematizzazione legislativa della Riforma Gentile del sistema scolastico italiano) fu vietato nelle scuole di ogni ordine e grado del Regno l'insegnamento in lingue diverse dall'italiano. Nel giro di cinque anni tutti gli insegnanti di madrelingua slovena o croata della zona vennero inoltre sostituiti da italiani provenienti da altre regioni del Regno.
Pochi mesi prima il Regio Decreto n. 800 del 29 marzo 1923 aveva imposto nomi italiani ai territori di confine in questione, e contestualmente aveva vietato l'utilizzo di toponimi slavi, nonché l'esposizione in luoghi pubblici di insegne di esercizi, cartelli stradali e qualunque altra scritta in lingua slovena o croata. Nel 1927 venne inoltre decretata l'italianizzazione di tutti i nomi propri e cognomi di origine slava, e una legge dell'anno successivo vietò infine agli uffici anagrafe di iscrivere nomi slavofoni nei registri delle nascite. La repressione di ogni forma di opposizione croata e slovena fu sistematica e spietata. Dei 978 processi celebrati dal Tribunale speciale fascista in tutto il Regno d'Italia ben 131 furono a carico di esponenti delle minoranze slave di Trieste e dell'Istria, e addirittura delle 42 condanne a morte da esso comminate ben 36 andarono a colpire attivisti antifascisti slavi.
Poi venne la Seconda guerra mondiale. Vennero Rab e Gonars, vennero gli ustascia, venne Jasenovac, venne il "qui si parla solo italiano" e venne lo sterminio sistematico delle popolazioni slave lungo tutti i territori jugoslavi in cui i militari italiani erano avanzati dal 1941 al 1943, ovvero Slovenia, Dalmazia, Croazia centrale, Kosovo e Montenegro, oltre ad Albania e Grecia. Circa 10000 (diecimila) jugoslavi, tra civili e militari, vennero uccisi dall'esercito fascista italiano, e circa 30000 (trentamila) vennero fatti prigionieri."

Francesco Mengo

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