Thursday, October 17, 2013

Il vizio del lavoro

Che bello è quando esco da lavoro e in sella al motorino vado a casa di nonna. E' il tramonto e mi fermo prima a fumare una meritata (?) sigaretta. Salgo le scale e lei mi accoglie sempre col sorriso. Dall'alto dei suoi 87 anni suonati, ho sempre il dubbio che non sappia bene chi io sia. Da qualche tempo è affetta dal morbo di Alzheimer, una brutta malattia che ti cancella la memoria. Purtroppo, solo chi la conosce sa a cosa mi riferisco. Poi fa "Nene!", il soprannome che mi ha dato quando ero piccolo: capisco che mi ha riconosciuto.

Ci mettiamo in cucina a fare due chiacchiere: mi offre la solita roba, un Crodino e caramelle alla menta. Guai a dire di no. Mi riformula dieci volte le stesse domande in quindici minuti. Quando tifo fuori una sigaretta, si ripete la solita scena: non ricorda che fumo.

Nonna: "Fumi?"
Io: "Sì nonna, da anni. Ne vuoi una?"
Nonna: "No. Mai fumato. Non mi piace questo vizio"
Io: "E che vizio ti piace?"
Nonna: "Il lavoro"
Io: "..."

Una risposta che fa tremare la terra sotto i miei piedi, cadere la sigaretta, svegliarmi dal coma. Nessuna persona nata dopo gli anni sessanta avrebbe potuto dare una risposta simile. Suona di atavico, paleolitico, dinosaurico. Il lavoro come un vizio. Come l'incapacità di smettere di lavorare, di faticare, di fare, di stare attivi. Le deve mancare, il lavoro. E' in pensione da una trentina d'anni. Stare senza far niente, senza lavorare: una cosa impensabile per una persona nata negli anni venti. Mai stata comunista o interessata alla politica, che io sappia. Eppure, il lavoro come religione. Poche seghe: lavoro!

Mi ricorderò di questo pomeriggio passato a casa di nonna. Il lavoro come vizio. Su le maniche, giù la schiena, silenzio e fatica. Una generazione lontana anni luce. Il passato del passato del passato remoto. Un altro mondo, un'altra vita. La religione del lavoro. Noi invece, le sigarette. E qualcuno, neanche quelle.

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