Thursday, March 21, 2013

Diario di un prof: la giornata da Dio (parte prima).

La giornata da Dio inizia alle tre di notte, quando ti svegli tutto sudato e tremolante per l'incubo appena vissuto. Mamma che paura! Incubo classico, molta confusione, tu in cima ad una torre di ferro, ti senti perdere l'equilibrio, nessuno a salvarti e crollare nel vuoto senza speranza. Ti aspetti il botto, invece ti svegli tutto sudato.
Un classico. Un super classico. Freud avrebbe detto: "che coglioni!".

Silenzio, buio e un caldo boia. Per fortuna era solo un sogno. Un sogno pessimo. Tolgo la felpa, sistemo il cuscino, non distinguo bene tra mutande e lenzuolo. Sensazione di malessere, leggero mal di testa, controllo l'orologio per diminuire lo stato di ansia: sono da poche passate le tre. Forse sono solo i postumi del weekend, più probabilmente il panino con la porchetta divorato all'una di notte, ventisette secondi prima di andare a dormire. Ci sta.

La giornata da Dio comincia inesorabilmente con livelli di angoscia inesorabili. Mi aspetta una giornata di lavoro e di appuntamenti, il terrore che la sveglia non suoni, il materasso bagnato di sudore e  il puzzo di incubo stantio aleggiare ancora nell'aria. Vai sereno, è solo l'inizio di una giornata da Dio.

Ore otto, anticipo ai secondi la sveglia. Ciabatte ai piedi, entro al cesso, mi guardo allo specchio. Ma non mi ero fatto la barba ieri sera? Pazienza. Strana sensazione in bocca, come se ci avessero cagato dentro. Il tempo di svuotare la vescica, poi di nuovo in camera da letto. L'impressione che abbiano scopato in tre o quattro sul tuo letto e la certezza che, anche fosse, tu non eri tra quei tre o quattro. Sereno, ti dico: oggi sarà una giornata da Dio.

Pantaloni scarpe maglione giubbetto. C'è anche la bicicletta. Il cane che, da vero e unico amico dell'uomo, salta la colazione in solidarietà con te che per la colazione tempo non hai. Ore otto e quaranta, le porte dell'università e venti minuti di anticipo sulla prima ora di lezione. Non molto impegnativa, a dire la vertità. Te l'avevo detto: oggi sarà una giornata da Dio.

Alle dieci e trenta sono in ufficio. Non avevo lasciato qualche bustina extra di tè? No?! Pazienza. Computer internet postaelettronica burocraziadimerda. E' certo che sarà una giornata da Dio: sono le dodici e il telefono non ho ancora squillato mai. Fuori non sta piovendo. Dentro neanche.

Pranzo al sacco: chilata abbondante di fusilli ai funghi con altra chilata abbondante di aglio e pomodoro. Rutto obbligatorio, scoreggia facoltativa. Al momento di sbucciare l'arancio senza la fitta allo stomaco. Di corsa verso il bagno. E' sulla tavoletta del cesso che l'uomo ha tirato fuori (e anche realizzato, mi sa) le idee più grandi. Non è così per me, non oggi almeno: mi è solo tornato in mente che non avevo finito di preparare la lezione delle tre. Di nuovo di corsa in ufficio. Di nuovo a lezione. Poi un incontro con i vertici del dipartimento (detta così fa figo, in realtà semplice e noiosa routine) e di nuovo in sella per raggiungere la parte opposta del campus. Ultima lezione della giornata e anche ultima lezione del semestre. O trimestre. Insomma, dell'anno accademico. Minchia, un altro anno accademico è già passato. Il mio secondo da prof. Il contratto termina a luglio. Potrebbe non essercene un terzo. Potrebbe essere il mio ultimo anno da prof. Potrebbe essere stata la mia ultima lezione da prof. Il precario e la sua giornata da Dio.

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