Prolegomeni a ogni futuro Natale
Anche se non ho scritto e tanto per cambiare, ho pensato molto durante questo periodo.
Un periodo per me di riposo (ironia post-moderna) e di meritato fracasso cerebrale: il periodo del Natale.
Usando il periodo natalizio come strumento di indagine, si riesce benissimo a concepire la vita come mera trasformazione e mutamento. Ad esempio:
Io quand'ero piccolo per me il Natale era la festa più grande perché ricevevo un sacco di regali e quando si giocava a carte gli adulti facevano vincere me e mia sorella e questo ci faceva sentire bravi, capaci, intelligenti e fortunati. In una parola: adulti.
Io quand'ero meno piccolo per me il Natale continuava ad essere una festa di piacere, perché a scuola non si andava e si poteva giocare a palle di neve.
Io quand'ero vicino ai vent'anni per il me il Natale cominciavo a contestarlo, denunciandone la falsità e gli sprechi, il buonismo da quattro soldi e la celebrazione del consumismo borghese. A livello esistenziale una condizione di malessere e solitudine, alla quale l'alcolismo non giovava un gran ché.
Io quand'ero ben oltre i venti per me il Natale non lo festeggiavo più e lo passavo in atea terra cinese, lontano da affetti e cenoni in famiglia. Non male l'esperimento, ma alla lunga cominci a sentire che qualcosa manca e manca di più.
E io che ora di anni ne ho trenta al Natale guardo con occhi diversi: una semplice (semplice come è sempre stata) occasione per rivedere la gente a cui voglio (e ho sempre voluto) bene. E allora vai di consumismo, formalità e informalità, mangiare a morire e bere e resuscitare, baci e abbracci, volersi bene e grande generosità. Che al di là di questo resta ben poco là fuori e allora vale ben la pena celebrarsi una volta all'anno almeno.
Per la prima volta in vita mia non ho fatto assolutamente regali a nessuno e per la prima volta in vita mia me ne so davvero vergognato. Anche perché di regali ne ho ricevuti di graditissimi: vino, tè, libri.
Ora che questo Natale maceratese è finito di già, di questo Natale maceratese in Irlanda con me porterò:
- l'immagine ben stampata in mente di cosa fare quando ti senti solo, triste e abbandonato: nulla. Fissa il soffitto e aspetta finché non ti passa;
- la massima del massimo poeta:
"i bambini trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto";
- uno dei tanti cori gridati in curva con gli ultras (io non seguo il calcio, io sono un ultrà):
"noi saremo
sempre al tuo fianco
con la sciarpa al collo
e il bicchiere in mano".
Sic semper tyrannis. E così sia. Auguri.
Un periodo per me di riposo (ironia post-moderna) e di meritato fracasso cerebrale: il periodo del Natale.
Usando il periodo natalizio come strumento di indagine, si riesce benissimo a concepire la vita come mera trasformazione e mutamento. Ad esempio:
Io quand'ero piccolo per me il Natale era la festa più grande perché ricevevo un sacco di regali e quando si giocava a carte gli adulti facevano vincere me e mia sorella e questo ci faceva sentire bravi, capaci, intelligenti e fortunati. In una parola: adulti.
Io quand'ero meno piccolo per me il Natale continuava ad essere una festa di piacere, perché a scuola non si andava e si poteva giocare a palle di neve.
Io quand'ero vicino ai vent'anni per il me il Natale cominciavo a contestarlo, denunciandone la falsità e gli sprechi, il buonismo da quattro soldi e la celebrazione del consumismo borghese. A livello esistenziale una condizione di malessere e solitudine, alla quale l'alcolismo non giovava un gran ché.
Io quand'ero ben oltre i venti per me il Natale non lo festeggiavo più e lo passavo in atea terra cinese, lontano da affetti e cenoni in famiglia. Non male l'esperimento, ma alla lunga cominci a sentire che qualcosa manca e manca di più.
E io che ora di anni ne ho trenta al Natale guardo con occhi diversi: una semplice (semplice come è sempre stata) occasione per rivedere la gente a cui voglio (e ho sempre voluto) bene. E allora vai di consumismo, formalità e informalità, mangiare a morire e bere e resuscitare, baci e abbracci, volersi bene e grande generosità. Che al di là di questo resta ben poco là fuori e allora vale ben la pena celebrarsi una volta all'anno almeno.
Per la prima volta in vita mia non ho fatto assolutamente regali a nessuno e per la prima volta in vita mia me ne so davvero vergognato. Anche perché di regali ne ho ricevuti di graditissimi: vino, tè, libri.
Ora che questo Natale maceratese è finito di già, di questo Natale maceratese in Irlanda con me porterò:
- l'immagine ben stampata in mente di cosa fare quando ti senti solo, triste e abbandonato: nulla. Fissa il soffitto e aspetta finché non ti passa;
- la massima del massimo poeta:
"i bambini trovano il tutto nel nulla, gli adulti il nulla nel tutto";
- uno dei tanti cori gridati in curva con gli ultras (io non seguo il calcio, io sono un ultrà):
"noi saremo
sempre al tuo fianco
con la sciarpa al collo
e il bicchiere in mano".
Sic semper tyrannis. E così sia. Auguri.
1 Comments:
Il motivo per cui lo vedi con occhi diversi lo riveli tu stesso: il Natale è una scusa per rivedere le persone a cui si vuole bene. Ben venga questa scusa, allora, per banchettare e stare insieme: non è forse questa (anche) l'essenza stessa della vita?
Ciò, comunque, non modifica la natura del Natale: era, ed è, acme di consumismo ed ipocrisia, chiaro quanto profondo sintomo di questa malattia capitalistica.
La vera benedizione. secondo me, non è dunque il Natale, ma il fatto che la società scelga di fermarsi, almeno una volta; magari lo facesse più spesso.
Insomma: a Natale siamo tutti più buoni;
alcuni perché, per un momento, possono abbandonare la frenesia del capitalismo per goderne dei frutti; altri (come NOI, mi permetto di dire) perché hanno finalmente modo di godere dei propri cari.
un saluto
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