Saturday, January 13, 2007


Fonte: Corriere della Sera Online

Roma, lo stilista è un'ex «tuta bianca»: «Così nessuno è sfruttato»
«Vesti e lotta». Ecco la moda da corteo
T-shirt prodotte da disoccupati, borsette fatte con zerbini riciclati. E sfilate nei centri sociali
ROMA — Vesti e lotta, una cosa sola . Stilisti antagonisti, anarco- fashion. Ragazze no-global sfilano in passerella distribuendo lettere al pubblico, lettere che raccontano la storia di quell’abito, le mani che l’hanno costruito, le teste che l’hanno pensato. Etica ed estetica: accade a Roma. Antonia al mattino conduce un programma alla radio, Samantha ogni sera dà lezioni di tango. È moda che viene dal basso, crea vestiti con gli scampoli di tessuto, ricicla gli zerbini fuori dalle porte e ne fa borse. Passerelle militanti nei centri sociali: si parte a febbraio all’«Esc» di via dei Reti, nel quartiere rosso di San Lorenzo. Esc, forse, è l’acronimo giusto per questa cosa: Eccedi, Sottrai, Crea. Il progetto si chiama «Aire»: aria, respiro, ossigeno. Non è una nuova griffe in cerca di ribalta, ma solo un altro modo di vedere le cose. Progetto transnazionale, dall’Italia al Sudamerica. «Un esperimento di democrazia della relazione economica», teorizza il suo ideatore, Pulika Calzini, 33 anni, romano dal nome zingaro come suo nonno che era un «sinti».
I CAPI — C’è la «Linea Puta», con le felpe prodotte direttamente dalle prostitute brasiliane riunite in cooperativa e c’è la «Linea Giusta», con le magliette realizzate dai disoccupati di Buenos Aires tessendo il cotone raccolto dagli indios del Chaco. E ci sono scrittori famosi come Nanni Balestrini e pittori come Pablo Echaurren e il graffitaro Sten che danno anche loro una mano e propongono gratis schizzi e soluzioni per illustrare le «magliette giuste ». Si chiamano così, «perché ognuno guadagna col suo lavoro e nessuno viene sfruttato», chiarisce Pulika con un brivido di utopia. È la moda equa e solidale. Nel ’98 lui era uno degli «Invisibili », delle «Tute Bianche», quelle che a Roma compivano blitz nei teatri, salivano in massa sugli autobus, si arrampicavano perfino sui balconi delle municipalizzate per reclamare i diritti della gente comune: più cultura, più servizi, ma a prezzi sociali. «Ora che il Movimento è finito in Parlamento », dice Antonia, modella per gioco, forse in giro c’è un po’ di stanchezza. Chissà se allora un altro mondo è davvero possibile, come recitava il vecchio slogan giottino: «È stato sbagliato dirlo troppe volte, adesso è giusto farlo», chiosa Pulika che nel suo piccolo non s’arrende.
LO STILE — Non è certo il kit del buon manifestante: sciarpa, cappuccio e passamontagna tuttocompreso. «Se è vero però che sei come ti vesti, allora anche una maglietta può avere un significato e il commercio che è merda in questo modo diventa oro», ragiona fine lo stilista antagonista, che adesso segue un corso di cinese perché un giorno vorrebbe riuscire a farsi capire anche là, trattando direttamente con gli operai di Zhejiang l’ordinazione di «magliette giuste», come fa adesso con i piqueteros de «La Matanza» di Buenos Aires. Moda equa e d’autore: le magliette con gli schizzi di Echaurren e le parole di Balestrini («La poesia fa male») sono pezzi unici. E poi c’è la felpa col display luminoso su cui puoi far scorrere la scritta che vuoi: l’idea è dell’argentino Alfio Demestre che a Roma ha già inviato il prototipo, col primo messaggio («Resistere il più possibile a ogni imposizione e a ogni violenza, educare tutti a contare su se stessi e cooperare con gli altri»). Progetto transnazionale e collettivo: creativi, modelle e operai sullo stesso fronte. Una rivoluzione con stile. Laboratori di tutto il mondo unitevi.

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